Psiche

Sempre più lavoro per i professionisti della psiche

Perché una persona che non soffre di un grave disagio psichico decide di intraprendere una psicoterapia? Le ragioni sono molteplici, ma alla base c’è comunque sempre la volontà di guardarsi dentro e di mettersi in discussione. Oggi, in tempi di crisi incombente e di rapporti sempre più mediati dai social, si fa maggiore il bisogno di ascolto e di relazioni che comportino la concretezza della presenza fisica

Cosa spinge una persona che non soffre di disturbi psichici gravi a intraprendere una psicoterapia? A impegnare una grande quantità del proprio tempo e a spendere cifre, anche notevoli, di denaro per intraprendere un’avventura certo affascinante, ma che può comportare sofferenza e incutere timore?

Le ragioni sono molteplici: cercare risposte a domande assillanti, il prodursi di una crisi esistenziale, il desiderio di conoscersi meglio, l’incapacità di gestire emozioni e relazioni, la necessità di compiere scelte importanti…… All’origine c’è sempre, comunque, la volontà di mettersi in discussione, di guardarsi dentro. Senza tale disposizione non ci può essere analisi.

Non a caso a farne richiesta sono in numero maggiore le donne, più inclini ad ascoltare il loro mondo interiore. Nel mondo maschile andare dallo psicologo viene ancora percepito da alcuni come atto di debolezza.

La scoperta del proprio mondo interiore è una discesa nel profondo che può produrre anche inquietudine: fa emergere fragilità, dubbi, impotenza, paure, mette di fronte a parti di sé sconosciute di cui prendere consapevolezza, sorprese a volte sconvolgenti.

A mio parere, sarebbe interessante uno studio per categorie professionali dei pazienti. Personalmente, nella mia lunga carriera di terapeuta, ho avuto molte madri e molte mogli ansiose, un congruo numero di universitari appartenenti a tutte le discipline e gradi di carriera – docenti, laureandi, specializzandi, ricercatori – parecchi manager, avvocati, impiegati di ogni ordine e grado, architetti, un folto gruppo di “creativi” – attori, registi, designer, musicisti – moltissimi insegnanti. Un solo ingegnere, finalmente un magistrato, nessun notaio.

Il campione è troppo esiguo per trarne conclusioni che abbiano un minimo valore statistico, ma a me piace pensare (e ne rivendico il pregiudizio) che la scelta della professione sia significativa e che ci siano attività che favoriscono maggiormente la disposizione introspettiva. Studi e professioni a carattere prevalentemente tecnico sembrano disporre meno a questo lavoro di scavo, non è difficile ipotizzare che i magistrati abbiano particolare difficoltà a mettersi in discussione, quanto ai notai…. forse non hanno un cuore e nemmeno un inconscio. Battute a parte, occorre coraggio per decidere di mettersi in gioco e intraprendere un percorso denso di incognite dall’esito non garantito, che potrebbe portare a scoperte liberatorie, ma a volte anche inquietanti. Guardarsi dentro è sempre un’operazione di verità, ma non priva di fatica, comporta l’attraversamento di memorie dolorose, di conflitti, traumi, sconfitte, sofferenza. E quello del terapeuta non è necessariamente un ruolo consolatorio.

Oggi c’è una grande richiesta di supporto psicologico, lo dimostra il proliferare di organizzazioni che offrono servizi on line a prezzi contenuti. Le ragioni sono molte, tutte valide: i tempi lunghi della pandemia con relative quarantene e lock down, crisi energetica e sociale che incombono, gli echi di una guerra che ci minaccia da vicino. Ma anche prescindendo da questi fantasmi di morte, il male di vivere ha bisogno di ascolto. Un tempo c’erano gli amici ai quali raccontare le proprie pene, la rete familiare, luoghi di aggregazione quali parrocchie e oratori, sedi di partito e sindacati, oggi la relazione è spesso disincarnata, affidata a messaggi sui social. E allora, nel deserto creato in mezzo al rumore dei media, si è disposti a pagare pur di avere qualcuno che stia a sentire e offra la possibilità di un rapporto fatto di attenzione alle parole, ma anche di scambio di sguardi, di espressioni, di gesti, di tutta la concretezza dell’essere “con”. Per questo resto scettico rispetto alla offerta di colloqui on line nei quali la comunicazione risulta ancora prevalentemente mediatica, priva di contatto fisico.

Che si intraprenda la lunga e avventurosa strada di una analisi alla conoscenza di sé o si scelga una terapia breve come cura del proprio malessere, abbiamo bisogno di presenza, di un rapporto relazionale completo, in cui linguaggio verbale e linguaggio del corpo si completino.

Psicologo e psicoterapeuta. Professore "Libre Universidad de Salamanca".(traduzioni dallo spagnolo a cura di Carlo Perez )

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