Un uomo seduto con la testa fra le mani, chino su una lapide che sembra dormire. Dietro di lui si levano minacciosi gruppi di pipistrelli neri. Titolo dell’opera: “Il sonno della ragione genera mostri”. È la celebre tavola di Francisco Goya, lì ad indicare il pericolo del lato oscuro di ognuno di noi.
Bella parola, “ragione”, sempre lì pronta a segnalare la retta via, a correggere chi la fa fuori dal vaso, chi osa, chi non è rettilineo. Ragione, dunque, come cardine che sostiene il portale del pensiero retto, della giusta opinione (ortho-doxa), della realtà da condividere, dei ragionamenti. Certo, un mondo governato solo dalla ragione sarebbe proprio rassicurante, sereno, esatto: sapere sempre cosa fare, in modo razionale ed educato, di maniera.
A pensarci bene, però, sarebbe di una noia mortale, un totale appiattimento emotivo, assolutamente e mortalmente lineare. Allora, da appassionato di parole, comincio a pensare e ripensare: pensate la parola divertimento che cosa significa se non deviare dalla direzione concordata (divertire), dunque ciò che ci fa piacere è proprio quella decisione di cambiare le carte in tavola. Per rimanere in tema, pensiamo alla parola mostro. Significa letteralmente “mai visto prima”, infatti non a caso parliamo anche di mostre di quadri ecc.
Dunque, il sonno della ragione genera mostri o, semplicemente, l’allentamento del controllo sul pensiero apre nuove porte, fa emergere cose mai viste prima inspiegabili che non hanno ragione di esistere?
Ma forse amare, godere, appassionarsi, hanno una spiegazione razionale? E dopo che la scienza ci ha spiegato la ragione del tramonto abbiamo forse smesso di comporre poesie o di portare le ragazze per farle innamorare? Abbiamo forse smesso di provare emozioni inspiegabili dopo che al conservatorio ci hanno spiegato il solfeggio musicale?
Tutto sommato, un mondo in cui vigila la ragione mi sembra che possa funzionare a patto che però, come tutte le faccende serie, ragione vada a dormire e lasci vagare creature senza patria (e senza ragione), “vere di notte e false di giorno”, come direbbe Faber. In questo viaggio di sola andata abbiamo bisogno sì di avere ragione, ma ci venga permesso di coltivare l’inspiegabile, di rincorrere l’inutile e di stare ogni tanto dalla parte del pesce piccolo che, a dispetto dell’ordine della catena alimentare, cerca sempre di sfuggire al pesce più grande.
In fondo, tenere insieme – o almeno provare a tenere insieme – ragione ed emozione, sembra essere la scommessa più alta, da sempre inseguita e mai raggiunta. Guai però a voler risolvere l’equazione a cercare spiegazioni convincenti. Il motore di tutto mi sembra sia proprio questa corsa verso l’asintoto, che in geometria è quella retta alla quale una curva che si estende all’infinito si avvicina indefinitamente senza mai raggiungerla. O come Achille, che non riesce a raggiungere la tartaruga o l’asino che rincorre la carota fissata davanti alla sua bocca.
Comportamenti decisamente irragionevoli.