Cosa c’è davvero da invidiare?

Close-up of a classic naked female statue with her pubis covered with a leaf.
Una seduta di psicoterapia e un’illuminazione. All’invidia del pene, teorizzata da Freud, si dovrebbe sostituire l’invidia della vagina, ovvero di un corpo femminile capace di dare la vita

È venuto a trovarmi il mio buon amico Joaquin Otuvas. Entrato nel mio studio, si è subito diretto al lettino, ci si è sdraiato e ha esordito: “Di sesso ti voglio parlare”. Sono rimasto in silenzio e lui ha iniziato a raccontare. “Nei primi anni di vita mi sono presto accorto delle cure assidue che mamma, nonna e tate riservavano a quello che chiamavano con affetto e con qualche risolino complice ‘pisello’, ‘pisellino’, e mi sono rapidamente convinto che quella piccola appendice del mio corpo doveva essere qualcosa di particolarmente prezioso, qualcosa di cui andare fiero, il gioiello di famiglia. Mia sorella non l’aveva, per lei si parlava di ‘patatina’, ‘farfallina’, ‘passerina’, ma non era la stessa cosa, si vedeva subito che c’era un vuoto, una mancanza”.

“Incoraggiato dalle attenzioni familiari, mi confermai nell’idea di possedere il pisello d’oro. Il senso di onnipotenza che questo pensiero mi procurava doveva venire dolorosamente frustrato più tardi, quando, adolescente in preda al ribollire degli ormoni e a calde fantasie erotiche, dovevo prendere atto che le ragazze del mio desiderio non erano per niente attratte dal suo fascino e ne irridevano la potenza”.

“Deluso, umiliato, avevo dovuto ridimensionare le mie pretese e constatare che il vero oggetto di desiderio era un altro, un oggetto misterioso, chiamato con nomi evocativi. Ero stato ingannato, avevo vissuto a lungo nell’errore: d’oro era la farfallina”.

Qui Otuvas si è interrotto, perso in lontani ricordi. Dopo una lunga pausa meditabonda, ha continuato.

“Fortunatamente all’università mi è venuto in aiuto Freud con la sua invidia del pene. Il pisello, ora con nome scientifico, tornava a brillare, rinnovava i suoi fasti, era di nuovo d’oro!”

“Il sollievo è però stato di breve durata. Riflettendo, ho ben presto maturata un’altra invidia, l’invidia di un corpo femminile capace di sviluppare la vita, dotato del massimo potere, quello della creazione. Come ha fatto Freud a non pensarci? A essere accecato dall’orgoglio maschilista?”

“Ho seriamente pensato di scrivere un trattato per confutarne le tesi, teorizzando l’invidia della vagina. Io questa invidia l’ho sentita e la sento, sento invidia per la capacità di procreare di cui sono privo, per l’emozione di sentire formarsi e crescere all’interno del proprio corpo un nuovo essere.”

“Ho provato a elaborarla, a esorcizzarla, a superarla. Invano. Più modestamente, ho cercato di ristabilire una certa parità, rivalutando l’organo di cui sono dotato, attribuendogli qualche merito… ma ci sto ancora lavorando”.

Ascoltando questa confessione, ho maturato il proposito di scriverlo io quel trattato, lasciando disposizioni perché venga pubblicato postumo.

 

 

Giampietro Savuto

Psicologo e psicoterapeuta. Fondatore e responsabile scientifico di Fondazione Lighea Onlus.

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