Alessandra ancor prima di nascere aveva partecipato al suo primo matrimonio; in grembo alla mamma, ascoltava le risa dei festeggiamenti e attendeva la sua venuta al mondo per dare un volto a quelle voci che sentiva in lontananza.
Cresceva accudita da nonni e genitori giovani che con cura trascorrevano la giornata insieme a lei. Riceveva complimenti e affetto, per quel sorriso sempre stampato sul volto. Alcuni iniziarono a chiamarla bambina parafulmine: con la sua adeguatezza parava le proiezioni sferrate dagli adulti, riportando serenità e tranquillità. Si concedeva la fantasia che se avesse fatto la brava, tutto sarebbe andato per il meglio. Con questo spirito aveva accolto anche l’arrivo del fratellino, accudendolo a sua volta come se fosse stata investita del suo primo vero ruolo da adulta.
Tutto era quieto: alla sera si appoggiava al davanzale della finestra sorreggendo la testa con entrambe le mani, soddisfatta di aver vinto la partita e di aver incontrato un’amica, ma insoddisfatta del liceo e del suo incespicare nelle relazioni; finché all’ingresso nella maggiore età il tema del matrimonio le si ripresentò, questa volta come conclusione di un’unione, quando si sentì dire: “Ale, papà non rientrerà a casa, ci siamo separati”. Sentenza corredata da una breve sintesi di non detto e distacco, che non rese facile alla figlia l’elaborazione di quanto accaduto.
Le separazioni coniugali, che interessano non solo la coppia ma anche le dinamiche con i figli, sono eventi estremamente unici il cui sviluppo dipende da un’infinità di variabili sia contestuali che personali, ma la storia di Alessandra ci induce a posizionarci dalla parte di chi, tra le crepe, sta crescendo.
Nella situazione di crisi creatasi, i traslochi disorganizzati, i sentimenti in gioco e l’entropia del perduto nucleo famigliare hanno messo in secondo piano i pensieri di Alessandra, ma lentamente è stato proprio il rimescolamento dello schema familiare abituale che le ha permesso di allontanarsi dal suo ruolo di bambina parafulmine, elaborando il lutto per una parte di sé, e di rigiocarsi come protagonista della sua stessa storia.
In Terre Rare, di Sandro Veronesi, la figlia del protagonista, Claudia Paladini, rivela faticosamente al papà che la ragione per cui soffriva non era affatto la sola ragione per cui tutti si aspettavano che soffrisse. Si sentiva un mostro se non giustificava alle persone intorno a sé che la precoce morte della mamma, sì, l’aveva destabilizzata, ma non era l’unico motivo che smuoveva sofferenze nel presente. Così anche Alessandra, per quanto scossa dalla separazione, da quel momento, aveva bisogno più che mai di essere ascoltata nel racconto della sua storia.
Ogni figlio o figlia di genitori separati sa bene che l’amore è la più difficile delle battaglie, che ognuno ha il proprio percorso di vita da seguire e che nel processo di separazione si attivano fantasmi, idee di onnipotenza, angosce, ma è necessario preservare la spinta a individuarsi e trovare il proprio modo di stare al mondo.
Ecco, forse la gemma da preservare all’interno di un cambiamento relazionale radicale come quello che comporta la separazione tra due genitori è la capacità di non mischiare i bisogni di tutti i membri del nucleo familiare. Significa non proiettare le proprie parti frammentate e sofferenti sull’altro, invischiando quelle in costruzione perché magari la crisi coniugale può dirci poco della coppia ma tanto del figlio.