Facciamo un gioco: «Io sono… e sono anche…». Prendete un foglio e provate a scrivere la formula per ben dieci volte, trovando quindi venti definizioni di voi stessi che più vi rappresentano. Potete ricorrere ad aggettivi, sinonimi e contrari, similitudini… Sarà facile scrivere le prime definizioni, un po’ più complicato arrivare alle ultime. Successivamente, passate a una seconda fase. Scrivete a fianco di ogni formula una terza parola che sia nuova e immaginaria, un neologismo vero e proprio, che racchiuda in sé entrambe le definizioni scelte. Infine, se siete in compagnia di qualcuno che sta giocando con voi, regalate all’altro, attraverso la formula: «Tu sei… e sei anche…», una definizione che sentite che gli appartenga.
Nel corso di un incontro di un laboratorio di scrittura creativa abbiamo ricomposto, trasformato e generato nuove parole che fan parlar di sé. Manomettendole, si assiste alla nascita di termini nuovi, divertenti, che hanno una buona sonorità e che sono rappresentativi di un’unione invece che di una scissione. Niente è proiettato all’esterno: nel neologismo si contengono e si proteggono due aspetti caratteristici di sé, che non semplificano ma tengono unita la complessità personale.
A chi partecipa al gioco, infatti, durante il processo si palesano parole piene, che non appartengono ancora a nessuna categoria. Ecco che arriva «Rumenzio», il neologismo scoperto da una persona, risultato da «Io sono rumore e sono anche silenzio»; molto differente da «Filoderto», esito di «Io sono filo d’erba e sono anche prato», e ancora più dissimile da «Cuta», risultato di «Io sono cuoio e sono anche seta».
Il significato della pratica forse risiede proprio in questo generare parole personalizzate.
Si sfida la propria mente a non appellarsi a definizioni che già ci appartengono a priori e dietro alle quasi spesso ci nascondiamo per riconfermare il racconto di noi stessi.
Il partecipante è stimolato, fin dall’inizio, a intraprendere strade nuove e a reinventarsi creativamente. Nel frattempo al conduttore si presenta la possibilità di ascoltare l’altro attraverso le parole che lui sceglie per sé stesso.
Il gioco è tra quelli consigliati dal libro Parole disarmate. Ricerche estetiche, didattiche narrative di Antonia Chiara Scardicchio e Andrea Prandin, ed è definito infatti dagli autori stessi «un’attività estetica di mano-missione delle parole». Andrea Prandin, in particolare, lo ha sperimentato sia su se stesso, in un corso di formazione, sia nei colloqui che svolge da consulente pedagogico.
Ecco che un semplice esercizio, un gioco di parole, può riservare inattese sorprese e, con l’aiuto apparentemente assurdo di parole che non esistono, aiutare a immaginare un racconto nuovo di noi stessi. Perché a volte giocando, si scoprono parti di sé ancora inesplorate.