Ecco i primi casi, liberamente ispirati a storie reali, che abbiamo incontrato e che ci avete inviato. Storie di separazioni e divorzi, di amori che finiscono e che presentano, spesso, tratti ricorrenti che vale la pena osservare.
Caso n. 1
«Dottore, non sopporto più mio marito, eppure siamo insieme da 20 anni e ci ho fatto pure due figli. Non lo riconosco più: è diventato pigro, non parla, quando lo fa dice sempre le stesse cose, non sopporto i suoi tic, le sue pantofole, le sue tute, la sua forfora, le sue tisane digestive, le sue battute che crede spiritose… è noioso, noioso, noioso». La quarantenne di bella presenza, vestita con eleganza, non nasconde il disprezzo per quell’uomo di mezza età che l’ha ingannata, ha tradito le sue fantasie. I figli sono cresciuti, il tempo incalza, adesso o mai più. Carpe diem.
Sono passati sei anni, lasciato il marito c’è un nuovo compagno: «Dottore, non sopporto più il mio compagno. È diventato pigro, dice sempre le stesse cose. Non sopporto le sue cravatte, i suoi calzini, le sue birre, il suo Milan, le sue battute che crede spiritose… è noioso, noioso, noioso». La signora non nasconde la delusione: credeva in un nuovo inizio e si ritrova al punto di partenza, al ritorno dell’identico. II principe si è di nuovo rivelato un rospo.
Anche se fossero possibili terze, quarte, quinte, infinite nuove occasioni, è molto probabile che il risultato sarebbe lo stesso. Uomini e, più frequentemente, donne che percorrono questa parabola credono di liberarsi da situazioni stagnanti di cui si sentono prigionieri. Non capiscono che la noia se la portano dentro, che è negli occhi insoddisfatti con cui guardano il partner. E nessun partner può superare l’esame di quello sguardo impietoso.
Caso n. 2
«Ti amo, cara, ti amerò sempre, ma devo lasciarti».
Quante mogli hanno ascoltato, attonite, frasi simili.
Lui, il marito, è uomo di bell’aspetto, colto, brillante, professionista affermato. Ma i cinquant’anni incombono, i figli non hanno più bisogno di lui, è inquieto e attribuisce la sua insoddisfazione alla routine domestica che lo soffoca, alla moglie che non lo capisce. Si sente giovane, nonostante rughe, stempiatura e capelli grigi. Non ha deposto la sua onnipotenza. Non si rassegna alla vecchiaia, non contempla la morte. È pronto per vivere di nuovo l’avventura, ma per farlo ha bisogno di una musa che lo ispiri, e non importa nemmeno che sia particolarmente bella, più bella della moglie (più giovane magari si).
Disfare un matrimonio di lunga data è doloroso, ma il profumo di giovinezza vale il prezzo. E allora il nostro eroe parte alla conquista di una nuova vita piena di promesse, che probabilmente presto si normalizzerà in un ritmo coniugale simile a quello del matrimonio precedente. Per molti uomini, se l’aspetto ingrigisce, il sentire e le aspirazioni conservano ancora qualcosa di adolescenziale. Kierkegaard direbbe che non hanno saputo passare dallo stadio del Don Giovanni a quello dell’uomo sposato, ovvero dalla sfera estetica alla sfera etica, e sono pertanto prigionieri della coazione a ripetere, che ripropone circolarmente le stesse situazioni senza uno sviluppo lineare.
«Madame Bovary c’est moi» diceva Gustave Flaubert.
Siamo tutti, donne e uomini, Madame Bovary: abbiamo tutti la sua sete di vita, i suoi sogni e il suo velleitarismo.
Cavalchiamo l’illusione, non ci rassegniamo. Sempre pronti a seguire chimere capaci di regalarci emozioni.