Finalmente, dopo essere stato prima eliminato dalla legge di Bilancio e poi richiesto a gran voce tramite una petizione online che ha in pochi giorni raggiunto le 300.000 firme, è stato approvato il Bonus psicologo, che istituisce un fondo per rendere più facile l’accesso alle cure psicologiche. Inserito nel decreto Milleproroghe, il bonus prevede un fondo di 20 milioni per l’avviamento di un percorso terapeutico per tutti coloro che, anche in mancanza di una diagnosi, vogliano iniziare un percorso di terapia e abbiano un ISEE inferiore a 50.000 euro, per un massimo di 600 euro all’anno. Cifre inferiori a quelle inizialmente previste, ma che rappresentano comunque un segnale di attenzione da accogliere positivamente. Anche perché la notizia della bocciatura alla fine dello scorso anno aveva fatto comprensibilmente scalpore, tenendo soprattutto conto del fatto che, invece, non erano stati toccati bonus per le terme, bonus per i monopattini, bonus per i rubinetti e per le zanzariere. Per carità, il problema delle zanzare, specie in estate, è rilevante in molte regioni italiane, ma sembra quasi che la salute mentale abbia meno dignità di una puntura d’insetto o di un bel rubinetto in casa (che sicuramente dà quel tocco in più all’arredo).
Ironia a parte, è molto triste constatare come, nonostante le evidenze di due anni al limite del distopico, in cui sono aumentati esponenzialmente i disturbi d’ansia, del tono dell’umore, le difficoltà nella coppia, quelle con i figli, il disturbo post traumatico da stress, i disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, i disturbi legati a patologie fisiche, la salute mentale venga ancora considerata la Cenerentola del servizio sanitario nazionale e, in generale, qualcosa sulla quale sembra non valga la pena investire. Forse perché la salute mentale non si vede, non si tocca, e quindi è aleatoria, vaga, rispetto a un infarto o a un braccio rotto. O forse perché è più facile parlare di mobilità sostenibile e di quale impatto possa avere sull’ambiente, invece dell’impatto che può avere sulla società un problema mentale non affrontato.
Eppure, i dati parlano chiaro: a seguito della pandemia e delle sue conseguenze a livello economico, molte persone precedentemente in cura hanno dovuto interrompere la terapia per motivi economici, e molte persone, in cui sono insorte problematiche che avrebbero necessitato un aiuto di questo tipo, non hanno potuto accedervi per lo stesso motivo.
La salute mentale è sempre stata, in Italia, l’ultima ruota del carro nel sistema sanitario nazionale: innanzitutto perché solo una minima parte di psicologi e psichiatri lavora nel servizio pubblico,
e questo comporta liste di attesa molto lunghe prima che si riesca ad accedere a un intervento terapeutico, e poi perché queste figure, all’interno del SSN, lavorano nei servizi specialistici di secondo livello (dipendenze, neuropsichiatria infantile, ecc), cioè in quei servizi in cui si lavora con patologie già conclamate, già in atto. Manca, quindi un’ottica della prevenzione, una rete di professionisti della salute mentale che lavori a un livello precedente, per poter intercettare una problematica e affrontarla prima che diventi un disturbo vero e proprio. Su questo, un ottimo esempio viene dal Regno Unito che, partendo da considerazioni di natura economica, ha rilevato come un intervento psicologico tempestivo riduca l’assenteismo sul posto di lavoro e i costi ad esso associati, stanziando ampi fondi per rendere accessibili le attività di psicoterapia a tutta la popolazione.
Sicuramente, qui in Italia, c’è tuttora un deficit culturale riguardo alla figura dello psicologo o dello psichiatra, che sono ancora considerati, dai più, i dottori dei matti, e non come quei professionisti che possono aiutare a superare un momento di difficoltà più o meno gravosa, anche se la petizione online che ha rilanciato il bonus, e molti vip e influencer che hanno raccontato pubblicamente le loro vulnerabilità, e di essersi rivolti a professionisti della salute mentale per risolverle, sono il segno che un cambiamento culturale è in atto.
Ma forse, per arrivare alle orecchie di una classe politica che pare interessata solo all’andamento economico del Paese, occorrerebbe puntare l’attenzione sull’impatto che un disturbo mentale può avere sulla vita economica della nazione: una persona psicologicamente prostrata lavora peggio e produce meno, perché le sue decisioni e le sue azioni sono influenzate dalla scarsa lucidità e dalle preoccupazioni che derivano dalla sua condizione mentale: se un’azienda ha molti lavoratori in queste condizioni, quale potrebbe essere il suo apporto all’economia del Paese? E una società con tanti membri ansiosi, depressi, traumatizzati, in crisi, dove può andare, che futuro ha?
Sono state tante le iniziative messe in atto da numerose associazioni, basate sul lavoro totalmente volontario di psicologi e psicologhe che propongono interventi a prezzi calmierati, e alcune Regioni si sono mosse, prima che il bonus venisse approvato, per ovviare a questa lacuna del sistema sanitario nazionale: il Lazio ha stanziato un fondo di 2,5 milioni dedicato all’accesso alle cure e alla prevenzione del disagio psichico, il municipio 9 di Milano ha stanziato 30000 euro per attivare un primo ciclo di sedute psicologiche, la Regione Lombardia ha appena approvato l’istituzione dello psicologo di base e anche l’Emilia Romagna si sta muovendo in questa direzione.
I venti milioni di euro stanziati sono chiaramente una cifra simbolica, che non basta ovviamente a coprire la domanda di terapia sorta nel Paese, ma è un indubbio segno di attenzione alla salute e al benessere mentale in un Paese che la salute mentale l’ha sempre considerata di serie B. Speriamo che sia un primo passo perché finalmente si possa dare alla salute mentale la dignità che le spetta.