Ibis redibis non morieris in bello
Il celebre responso della Pizia, il cui significato muta radicalmente posizionando la pausa prima o dopo il “non”*, mi attraversa la mente ogni volta che mi capita di avere a che fare – anche indirettamente – con la macchina infernale della burocrazia.
Per fortuna stavolta il confronto non è toccato a me, ma a un caro amico che si occupa di gestire alcune comunità terapeutiche. Dovendo trasferirne una da una sede all’altra, pensava di avere a che fare con un semplice trasloco all’interno del territorio cittadino, in uno spazio che presenta le stesse caratteristiche strutturali della precedente residenza. E invece no. È iniziato un iter complesso attraverso il labirinto dei permessi edilizi necessari.
Il mio amico evita di recarsi agli incontri con i funzionari: si conosce, teme di non riuscire a trattenersi e, a fronte di estenuanti trattative, di esplodere. Delega quindi ai colloqui colleghi più miti e diplomatici. La proliferazione delle normative e la stratificazione di disposizioni, talora importanti, talora futili, talora incomprensibili, spesso contraddittorie, favorisce la discrezionalità del funzionario e finisce per incoraggiare accordi poco trasparenti.
Nel labirinto burocratico mi sembra di cogliere il retaggio di una cultura abituata a considerarci non cittadini, ma sudditi. L’organizzazione, nel suo insieme, è una controparte anguillesca che non si compromette. Incapace della necessaria flessibilità di fronte alle infinite variabili delle diverse situazioni reali, non intende assumersi la responsabilità di prendere decisioni, giustificandosi con la superiore intransigenza della Legge: Dura Lex sed Lex. Tutto diventa allora un percorso ad ostacoli, che assumono un’inesauribile varietà di nomi: analisi di fattibilità, procedura, perizia tecnica, riesame, proroga, modifica normativa, quesito agli organi competenti, attesa di approvazione, rinvio, tempi tecnici, richiesta di documentazione, richiesta di nuova documentazione, richiesta di ulteriore documentazione….
Nel funzionario tipo emergono due atteggiamenti prevalenti.
Ci sono quelli perfettamente a loro agio tra leggi, commi, codicilli, circolari attuative, che, nelle faglie di regolamenti così complessi da poter essere solo aggirati, riescono a individuare il varco per portare a buon fine la pratica.
Altri riscattano la monotonia di una vita professionale grigia esercitando il diritto di veto. E’ venuto finalmente il loro momento di gloria, quello in cui poter dire: ”Obsto, ergo sum”.
Per quanto riguarda l’ambito sanitario, tutto il rigore normativo si concentra spesso su aspetti puramente formali, trascurando gli elementi sostanziali, ovvero la qualità degli interventi e la professionalità delle prestazioni.
Un esempio: le comunità terapeutiche del mio amico si valevano, per l’assistenza agli ospiti, di personale munito di laurea in psicologia, che l’ultima normativa ha imposto di sostituire con educatori professionali. La norma, varata con le migliori intenzioni, aveva il lodevole obiettivo di regolamentare e migliorare il servizio offerto da strutture sanitarie e riabilitative che utilizzavano personale non qualificato. Ma la sua applicazione rigida e miope ha, in questo caso, abbassata la qualità dell’assistenza erogata, impedendo l’impiego di operatori laureati, senza dubbio più idonei a fornire supporto psicologico gli ospiti. Paradossalmente un tipo di organizzazione che rappresentava un modello più avanzato, un’esperienza pilota è stata brutalmente ridimensionata e “normalizzata”.
* Se, infatti, si pone una virgola prima di “non” (ibis, redibis, non morieris in bello), il significato del responso è “Andrai, ritornerai e non morirai in guerra”, e prefigura un esito positivo della missione. Se, invece, la virgola viene spostata dopo la negazione (ibis, redibis non, morieris in bello), il senso risulta essere sovvertito nel suo contrario: “Andrai, non ritornerai e morirai in guerra”.