Negli ultimi anni di vita di mia madre, allora ottantenne, ero solito inventarmi a suo uso ogni sorta di avventurose follie: volevo comprare una poderosa moto, io che non sapevo neanche andare in bicicletta, meditavo di unirmi a una spedizione per fare trekking sull’Himalaya, io che non amavo la montagna, stavo iniziando a prendere lezioni di arti marziali, io che mi ero sempre rifiutato di fare sport… ero innamorato di una contorsionista giapponese…
Le mie sorelle mi davano del cattivo figlio perché con le mie trovate bislacche tormentavo una anziana signora che aveva bisogno di tranquillità.
Io penso invece di essere stato un “bravo” figliolo perché, dandole di che preoccuparsi, ho contribuito a impedirle di sprofondare nell’inerzia della senescenza e le ho infuso vitalità. «Preoccupare» deriva dal latino praeoccupo: tra altri significati ha anche quello di «impadronirsi», riferito ai sentimenti, ovvero «mettere in pensiero», «mettere in ansia». L’ansia può essere sensazione paralizzante, ma in dosi omeopatiche si rivela salvifica: mantiene vivi l’interesse, l’attesa, desta emozioni, stimola l’agire, allerta il desiderio. Siamo per natura esseri inquieti, ma il caos del nostro sentire è qualcosa di vitale che non va soppresso, piuttosto governato, alla ricerca di un equilibrio sempre instabile, un ossimoro: l’equilibrio del caos.
Ci illudiamo di trovare il nostro benessere in una condizione di stabilità, eppure un ipotetico stato di completo e immutato appagamento farebbe di noi dei cadaveri.
La felicità funziona solo come aspirazione, meta a cui tendere, stimolo potente all’azione, luminoso ideale sempre sfuggente. Qualora raggiunta, si rivelerebbe inganno di Thanatos: privandoci del desiderio, ci farebbe sprofondare nell’inerzia dell’accidia, nel vuoto dell’apatia.
L’etimologia di «desiderio» è tra le più suggestive: la parola deriva dal latino de sideribus (de, preposizione che indica lontananza, e sidus, eris che significa stella): lontano dalle stelle, di cui suggerisce un senso di struggente nostalgia.
Molti di coloro che vengono da noi dicendo di voler intraprendere una psicoterapia in realtà non hanno una vera intenzione di cambiare: sono affezionati ai loro sintomi, al loro immobilismo, alle loro coazioni a ripetere. Difendono le loro nevrosi, che gli forniscono l’alibi per rimanere fermi, ai bordi della vita, evitando di mettersi a rischio. Contro lo Xanax che addormenta il disagio di vivere, dacci oggi, nella dose che siamo in grado di sopportare, la nostra ansia quotidiana, compagna del desiderio che ci fa alzare lo sguardo verso le stelle.