L’antica favola del processo a mamma orsa

Illustrazione raffigurante una foto segnaletica di un’orsacchiotta di peluche in arresto
Consultando un antico manoscritto, ci siamo imbattuti in un racconto in versi del XIII secolo, sul modello del “Roman de Renart”*, che proponiamo nel libero adattamento dalla lingua d’oil a cura di Joaquin Otuvas. Ci scusiamo per i salti logici e i passaggi di difficile comprensione dovuti alle lacune del testo.

Un tempo lontano gli animali selvatici vivevano liberi, occupando tutte le parti del globo.

Con il moltiplicarsi degli insediamenti umani e i relativi problemi di convivenza, l’Organizzazione Mondiale del Regno Animale (OMRA) è intervenuta a regolamentarne la distribuzione nei diversi territori: savane e foreste tropicali sono state assegnate alle specie più feroci, alle zone abitate dall’uomo sono state riservate quelle più docili e inoffensive. Alcuni animali, la cui indole era maggiormente difficile a definirsi, sono tuttavia rimasti privi di destinazione specifica, tra questi gli orsi. Quelli bianchi hanno finito per emigrare verso il Circolo polare Artico, quelli bruni non ne hanno voluto sapere di ghiacci e si sono distribuiti sui monti del globo, vivendo in pace tra i boschi e le vette: in Italia soprattutto sulle Alpi, sugli Appennini, ma anche in Sicilia. (Forse gli stessi di cui favoleggia Dino Buzzati nel racconto La famosa invasione degli orsi in Sicilia?)

Ma un giorno fatale capita che l’orsa Bruna incroci, in una radura dell’Alta Savoia, un animale superbo, un cervo dalle corna straordinariamente ramificate e taglienti, quali mai viste di tale portata.

L’orsa, temendo per i suoi piccoli, sfodera gli unghioni e lo affronta in un epico duello, alla fine della feroce tenzone lo lascia sul terreno in una pozza di sangue. Il fatto è di straordinaria gravità e suscita profondo sgomento. Si riunisce immediatamente il tribunale della foresta, presieduto dall’onorevole Alce YY10.

(Nel manoscritto cui attingiamo tutti gli animali hanno bei nomi evocativi, secondo l’uso antico; purtroppo, lo stato del materiale cartaceo non ne permette in molti casi la decifrazione, per identificarli si è pertanto scelto di ricorrere a sigle.)

L’accusa è sostenuta da KK1, un cinghiale coriaceo che legge il capo di imputazione: omicidio volontario, che comporta la pena di morte. L’avvocato difensore, orso ZZ3, vi contrappone la tesi della legittima difesa e, in subordine, dell’omicidio colposo.

Testimoni a discarico i due orsacchiotti, giudicati poco attendibili dato il legame con la madre, per l’accusa il lupo cattivo e una pecora vagabonda.

Tutt’intorno i supporter dell’accusata srotolano cartigli: “Libertà per mamma orsa”, “Bruna libera subito!”, “No a deportazioni!”, “No a omicidi di Stato!”.

YY10 non si lascia intimidire: dopo ampio e animato dibattito prende la decisione di una sentenza esemplare, che serva di monito alla comunità orsina, e condanna Bruna alla pena capitale.

Mobilitazione generale degli animali della foresta che ricorrono al Tribunale Supremo, presieduto da Re Leone in persona, un monarca paternalistico, politico di lungo corso.

Il confronto è serrato… Pericolo… Mi oppongo, vostro onore… Trasferimento… Deportazione! Deportazione! … Volete vendetta? … Assassina… Vergogna… Assassina… Vergogna…

(Purtroppo, le numerose lacune non permettono una ricostruzione fedele del dibattimento processuale.)

La difesa conclude la sua arringa chiedendo il non luogo a procedere in quanto – sostiene – mamma orsa, al momento del crimine, era incapace di intendere e di volere perché sopraffatta dal timore per i suoi nati. In alternativa alla pena propone un periodo di osservazione in recinto terapeutico per sottoporsi a un trattamento di controllo della rabbia.

 A questo punto vengono meno le antiche carte per cui non ci è dato conoscere l’esito del processo.

Sappiamo però che la vicenda ha ispirato molte ballate, divenute patrimonio folklorico della comunità orsina, tra cui Il terribile duello tra il principe cervo e mamma orsa in ottonari a rima baciata, opera attribuita al famoso poeta popolare Gallo Cedrone.

* Ciclo di racconti in versi del XII e XIII secolo in lingua d’oil che hanno come personaggi animali umanizzati, con intenti spesso parodistici nei confronti della società feudale. Lo straordinario successo popolare dell’opera è dimostrato dal fatto che il nome proprio del protagonista (Renart) è diventato in francese nome comune della volpe, in luogo dell’antico goupil.

Tags from the story
, , , ,
Joaquin Otuvas

Psicologo e psicoterapeuta. Professore "Libre Universidad de Salamanca".(traduzioni dallo spagnolo a cura di Carlo Perez )

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *