Tranquilli, non c’è pericolo che si riapra il manicomio, perché la sua cultura continua in altre forme a segnare l’assistenza psichiatrica (e a mietere vittime).
Sono cento anni dalla nascita di Franco Basaglia ed è tempo di commemorazioni. È tuttavia curioso, e dovrebbe far riflettere, il fatto che documentari, convegni, studi, dibattiti consistano prevalentemente nella rievocazione di un drammatico passato. Ci si ferma lì. E dopo?
I manicomi erano istituzioni totali, cittadelle autarchiche, all’interno delle quali gli ospiti trovavano tutte le risposte ai loro bisogni. Collocati in luoghi appartati, separati dal contesto sociale, più che curare avevano il compito di assistere e sorvegliare i pazienti, di proteggere i “matti” dal mondo esterno e la società dei “sani” dai matti, sottratti anche agli sguardi di chi poteva essere turbato dalla loro vista (e dai propri fantasmi).
La legge 180, comunemente chiamata con il nome di chi l’ha resa possibile, ha dato agli internati il diritto di venire curati come individui liberi e ha restituito loro la dignità di cittadini.
Ma il progetto visionario di Franco Basaglia non si fermava alla chiusura dei manicomi, immaginava anche un dopo, una rete di servizi che coniugassero cura, assistenza e riabilitazione. Questo “dopo” non si è realizzato, se non in forma sporadica.
Nuove esperienze e servizi innovativi sono una rarità. È andata persa la forza rivoluzionaria dell’utopia, è prevalso un processo di normalizzazione.
Di fronte al dinamismo di gran parte delle discipline mediche la psichiatria sembra caratterizzata da un’inerzia che collude con l’inerzia psicotica dei suoi pazienti… e dei curanti.
Il “matto” è tornato a gravare sulla famiglia; se in crisi, viene ricoverato per breve tempo in reparto ospedaliero, dove l’obiettivo principale è la remissione del sintomo grazie a una terapia prevalentemente farmacologica. Non gli viene dato spazio e tempo per vivere ed elaborare la crisi espressione del suo disagio. I servizi sul territorio hanno assorbito la cultura manicomiale e finiscono per riproporla, a cominciare dall’organizzazione, che privilegia il versante farmacologico e l’assistenza infermieristica rispetto alla progettualità riabilitativa in funzione della ripresa di un percorso di vita.
Il movimento culturale iniziato con tanto entusiasmo si è arrestato, il cambiamento è stato solo superficiale. L’anniversario che quest’anno celebriamo può essere occasione di riprendere un dibattito interrotto e di riflettere sul futuro della psichiatria.