Fotografia che ritrae l'angolo inferiore destro di un foglio di carta stazzonata appeso a un muro russo. Sul foglio qualcuno ha scritto a mano con un tratto nero "Am I good enough?"
Attualità

Notte prima degli esami. Ma di quali?

In una corsa senza riposo, anche in questi primi mesi estivi si è tornato a parlare di maturità. Una tappa sempre meno significativa per i ragazzi e le ragazze, affogata tra le molte altre continue richieste di competizione e performance. Ma non è che in questa corsa al risultato si sia perso il senso?

“Notte prima degli esami, notte di polizia…”, cantava Venditti nel lontano 1984. Descriveva una notte che aveva quasi del magico, una sera di inizio estate fatta di dolci malinconie che preannunciavano la fine di un lungo percorso, costellato di fatiche e insuccessi, vittorie e amicizie, amori e litigate. L’ultima notte prima dell’ultimo fotofinish di una gara di resistenza dopo la quale puoi darti alla pazza gioia. L’inizio di un’estate che non torna più, libera da qualsiasi preoccupazione, ultimo baluardo del rito d’iniziazione all’“essere adulti”.

Fino al 1998 si parlava dell’esame di maturità per questo: un esame finale che dava la testimonianza di quanto una persona fosse maturata nel corso del suo ciclo di studio. Letteralmente, nel senso latino del termine di “saggezza e sviluppo”. Dal ’98 in poi, però, il suo nome cambia in “Esame di stato conclusivo”, sottolineando maggiormente la fine del percorso più che tutto il vissuto che vi sta dietro; quasi ignorando l’ansia, la fatica e la soddisfazione delle ultime notti insonni passate a studiare la Toscana di Carducci, guardando il mondo attraverso gli occhi dell’Islandese di Leopardi, cercando di comprendere l’aldilà dalle sponde dello Stige.

E in effetti, negli ultimi anni, sempre più questo esame non ha fatto altro che concludere un percorso che – in realtà – è già costellato di molto altro. Chi decide, infatti, di proseguire il suo studio intraprendendo una carriera universitaria si ritrova a doverla scegliere presto, a combattere con test cervellotici per averla, in alcuni casi già dal quarto anno, quando quella maturità tanto agognata ancora potrebbe sembrare molto lontana.

La sana paura dell’esame conclusivo – legata alla fine di qualcosa di conosciuto e all’aprirsi delle porte del nuovo – allora si sposta sul proprio percorso di vita, su un’ansia sulla quale il controllo è estremamente labile

Per quanto l’utilità di un test anticipato al quarto anno di superiori possa servire per mettere in un immaginario cantiere il proprio futuro accademico, allo stesso tempo obbliga giovani ragazzi a fronteggiare carichi emotivi e fisici oltre le loro capacità. Non perché non possano essere abbastanza intelligenti, caparbi o desiderosi di dedicare il loro impegno anche a questi nuovi obiettivi, ma semplicemente perché questo li proietta in un futuro che deve ancora arrivare e toglie loro la possibilità di vivere appieno il percorso formativo che stanno ancora compiendo. Fissare tutte le proprie energie e la propria attenzione alla scelta futura e alla preparazione per i test d’ingresso non permette di godere degli ultimi anni di superiori e obbliga a scegliere le proprie priorità prima del tempo; costringe a sacrificare l’impegno scolastico per un “dopo” che potrebbe non esistere e che non viene e non può essere completamente riconosciuto a scuola.

Certo, una comodità di questi test anticipati è sicuramente la possibilità di prepararsi per la facoltà scelta in modo più tranquillo e non relegato all’ultimo anno, ma qual è il prezzo? I requisiti minimi delle superiori non sono sufficienti per i test, come possono i ragazzi immaginare che quello che viene appreso possa servire in qualsiasi modalità eccetto quella del voto scolastico? Come possono accettare che studiare qualcosa non valga solo per il compito in classe ma per la loro vita?

Al di là delle numerose soluzioni pratiche alternative possibili – che sono anche già sperimentate, in alcuni casi – il problema risiede a monte, alle richieste delle scuole superiori che più che volere dei ragazzi competenti preferiscono siano performanti, in un clima di competitività che deteriora la passione e la reale funzione scolastica di “apprendere”. Pensate per esempio agli “Ottisti”: sono quegli studenti che, avendo in quarta una media superiore all’otto, possono non frequentare il quinto anno e sostenere direttamente gli esami. Seppure si abbia già chiaro, dunque, quale sia la propria strada e si ipotizzi già un futuro, lo stress della preparazione a questi test, del rispetto delle tempistiche in un mondo che sembra correre decisamente più veloce di quanto possa fare un sedicenne o un diciassettenne, può comportare anche decisioni prese senza riflettere, crolli di ansia, abbandono, anche precoce, della scuola o della propria carriera studentesca.

Ci si ritrova a studiare più per il test di ingresso che non per l’ultimo, fondamentale, anno di superiori e ad arrivare allo stremo delle forze all’inizio del nuovo percorso universitario. Stanchi, spossati e carichi di ansia. Senza neppure aver potuto vivere quell’istante di follia, quella paura dell’esame insuperabile alla fine della quinta, quell’aria di sollievo quando ti rendi conto che ce la puoi fare; quel momento di vuoto nella mente quando finalmente tutto è finito e quella stretta allo stomaco mentre, guardando oltre, si resta incantati davanti ad un orizzonte non carico di crocette, tempi, aule e graduatorie, ma di sogni, paure e speranze.

Psicologa e futura psicoterapeuta, collabora per la Fondazione Lighea Onlus.

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