“Animale, Mostro”: il delitto di Senago ha profondamente turbato l’opinione pubblica per la sua efferatezza. Epiteti improntati all’orrore hanno bersagliato chi se ne è reso responsabile, che è diventato per molti “il Mostro”, un individuo animato da innaturale ferocia, da una crudeltà tanto incomprensibile da farne un essere alieno, un diverso, estraneo alla comunità umana.
Ancora una volta di fronte all’eccesso dell’orrore si vuole prendere le distanze, non riconoscere nel colpevole le comuni origini, relegarlo in un’area estranea al consorzio umano. I cronisti si sono accaniti a registrare ogni particolare del suo aspetto, del suo abbigliamento: il cappellino portato storto, il giaccone invernale con tanto di pelo in una giornata quasi estiva, il cappuccio calato sul volto… particolari che contribuiscono a farne uno strano, un diverso.
La parola “pazzo” non è stata ancora pronunciata, ma potrebbe venire evocata in sede processuale con richiesta di perizia psichiatrica. Eppure, fino al giorno prima le foto lo ritraggono, giovane dal volto gentile, shakerare con impeccabili gesti professionali dietro il bancone di un sofisticato locale alla moda.
No, non è un alieno, ed è questo a farci paura e a riempirci di orrore. Né il fatto di aver compiuto un gesto folle ne fa un folle, anche se una diagnosi di pazzia suonerebbe rassicurante perché potremmo dirci che non ha nulla da spartire con noi, persone “normali”.
Si è parlato di narcisismo e senza dubbio il crudele assassino narcisista lo è, ma la disposizione al narcisismo è caratteristica di tutta la nostra epoca, un disturbo di personalità largamente condiviso.
No, non è un alieno: la mancanza di freni morali, il gelo sentimentale, l’indifferenza al dolore degli altri, considerati meri strumenti del suo piacere o ostacoli da eliminare, sono tutte manifestazioni di un male che ci riguarda, il cui emergere impaurisce e sconvolge perché temiamo di non esserne immuni, di covarlo anche noi, inconsapevolmente, in qualche recesso ignoto della psiche.
Freud parla dell’angoscioso spavento che ci coglie per l’affiorare di qualcosa che non è nuovo, non è estraneo alla vita psichica, ma lo è divenuto perché oggetto di un processo di rimozione, cui dà nome di “perturbante”, che ci guarda con occhi familiari.
Una diagnosi clinica ci darebbe sollievo, ma non tutto può essere ridotto a diagnosi clinica, come spesso si tende a fare: il delitto di Senago ci dice che le azioni malvagie, feroci e incomprensibili, crudeli e scriteriate, esistono, appartengono all’umano.