Inaccettabile: così è la sofferenza. Qualcosa da cui fuggire, da evitare, da risolvere il più rapidamente possibile. È questa una delle cifre tipiche della nostra società, in cui pare che soffrire non sia e non possa essere contemplato, sia che la sofferenza riguardi noi stessi, sia che riguardi gli altri.
La capacità di stare nella propria e soprattutto nell’altrui sofferenza, senza per forza cercare di muoversi verso inutili soluzioni, fa parte di una qualità che pare desueta, dunque: l’empatia. Questo termine deriva dal greco e, nella traduzione più letterale possibile, può significare “stare dentro (en) l’emozione, ma anche la sofferenza (pathos)”. È la migliore descrizione di quella capacità così sublime e umana di comprendere e condividere i sentimenti degli altri. Non è solo una competenza relazionale largamente studiata nei contesti di psicologia, ma anche e soprattutto un mezzo per promuovere il benessere emotivo, sia per chi la esercita sia per chi la riceve. Questo concetto implica non solo riconoscere e comprendere il dolore altrui, ma anche essere presenti in modo autentico e non giudicante.
La sofferenza però può provocare forti sentimenti di ansia e paura, perché siamo biologicamente predisposti a scappare da tutto ciò che ci può fare stare a disagio. Spesso è più facile cercare di evitare o distrarsi dalla sofferenza piuttosto che affrontarla direttamente. Il grosso lavoro deve essere proprio quello di imparare come saper stare accanto senza lasciarsi invadere dall’altro che soffre. Capire che la sofferenza che si prova per l’altro non è qualcosa da cui fuggire, ma qualcosa che l’altro deve vivere e superare senza essere solo.
Stare nella sofferenza significa essere un testimone del dolore di qualcuno, renderlo reale, dargli un peso mentre si offre un sostegno, talvolta silenzioso, e una presenza costante.
Stare nella sofferenza, a qualsiasi livello essa sia, dunque, non è facile. Richiede una grande capacità di ascolto e una volontà di mettere per quel momento un freno alle proprie ansie e preoccupazioni per poter essere con e per l’altro. Questo può creare connessioni davvero profonde e significative; come diceva lo psicologo Carl Rogers: «Quando qualcuno ti ascolta veramente senza giudicarti, senza cercare di prenderti in carico, senza cercare di plasmarlo, è incredibile quanto la tua sofferenza scompaia, quanto ti senti compreso e accolto».
Ecco qual è l’accezione più profonda di empatia: quella che implica la volontà di entrare nel miglior modo in contatto con il dolore, senza cercare di minimizzarlo o risolverlo rapidamente. Significa essere presenti in modo completo e aperto, accettando il dolore come parte inevitabile del processo di guarigione. Nel contesto terapeutico ha la sua massima espressione nella capacità del terapeuta di tollerare l’angoscia senza cercare di sfuggirla o neutralizzarla, dimostrando al paziente che è possibile affrontare e superare il dolore emotivo.
In una stanza buia piena di mostri dei quali non si può verificare l’esistenza, si può banalmente stringere la mano dell’altro aspettando che la luce arrivi.
Un commento
Daniela Casapieribe
Bellissime riflessioni…profonda attenzione dell’anima.. grazie.