Psiche

La depressione, malattia del secolo, può aiutarci a riemergere

In certi momenti essere tristi è una condizione naturale, che non richiede subito l’anestetico del farmaco

Ogni secolo ha avuto la sua malattia.
Il Seicento la peste.
L’Ottocento la tisi.
Il Novecento l’AIDS.
La depressione sarà la malattia del Duemila?
I depressi sono in forte aumento in tutto il mondo e, quando il numero è così alto, il fenomeno supera il confine del clinico e interessa il piano sociologico e culturale.
La psicopatologia distingue tra una depressione endogena, senza causa apparente, a decorso monopolare o bipolare, cioè a fasi depressive e maniacali alterne, e una depressione reattiva, conseguenza di un trauma emotivo: lutto, delusione amorosa, separazioni, frustrazioni, insuccesso sociale; di natura nevrotica quando non ci sia chiara consapevolezza delle cause.
La depressione profonda è una patologia estremamente seria e va affrontata in sede psichiatrica con farmaci e psicoterapia. Ma esiste anche una depressione diffusa e strisciante, meno pericolosa, ma ugualmente seria, le cui motivazioni sono, come si diceva, di carattere sociale e culturale.
Una ricerca, curata dall’Istituto italiano Astarea con Interactive Research, di recente pubblicazione, indica che circa un terzo degli europei è insoddisfatto della propria vita, del proprio stato di salute e della propria felicità, pur con vistose differenze tra i diversi Paesi, e che, in questo quadro generale, gli italiani appaiono tra i più insoddisfatti. In tutti i cittadini della UE è altissima la preoccupazione per il benessere delle nuove generazioni, pochi infatti credono che i giovani avranno una vita migliore di quella dei loro padri. Per quanto riguarda l’Italia, alto tasso di disoccupazione, in particolare giovanile, e bassa crescita del PIL causano la percezione di una situazione in peggioramento.
Stando così le cose non stupisce l’incremento degli stati depressivi, specialmente tra i giovani.
L’assenza di un futuro come promessa, il senso di precarietà e di impotenza, la mancanza di senso spingono molti di loro a rintanarsi nella propria stanza e a stordirsi di musica in cuffia davanti a un computer. Hanno rinunciato a sognare: il futuro è morto.
La depressione è anche conseguenza di due malintesi propri della nostra epoca: la pretesa di espellere il dolore, quasi fosse una colpa, e l’imperativo di essere felici.
Al contrario, in un’esistenza ricca di esperienze,

il dolore è inevitabile, in certi momenti essere tristi è una condizione naturale, non qualcosa di inaccettabile che richiede subito l’anestetico del farmaco.

La vita non è malata perché duole. D’altra parte la felicità viene spesso confusa con il possesso e il consumo di beni. La società dei consumi è un’immensa vetrina che stimola incessantemente il desiderio, un desiderio che pretende di essere subito soddisfatto. Ma gli oggetti bramati, una volta posseduti, si rivelano inadatti a colmare un vuoto esistenziale che è pozzo senza fondo, mentre dalla giostra consumistica emerge la mancanza di senso.
La conclusione da trarre è dunque necessariamente deprimente? In realtà lo stato depressivo può talvolta esercitare un effetto catartico ed essere occasione di un passaggio importante, offrendo l’opportunità di una riflessione su sé stessi e la condizione umana. La libido dispersa in una molteplicità di immagini civetta può ritirarsi dagli oggetti esterni e concentrarsi sull’analisi interiore. Forse allora la depressione non sarà passata invano e da essa qualcuno potrà riemergere avendo maturato una nuova consapevolezza di sé. Avrà imparato che dolore, frustrazioni, sconfitte non si possono eliminare, ma si possono sopportare e superare purché si sia trovato un senso alla propria esistenza.

Psicologo e psicoterapeuta. Fondatore e responsabile scientifico di Fondazione Lighea Onlus.

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