Una mano femminile su sfondo nero che lancia due dadi verso l'alto.
Psiche

Dobbiamo davvero cercare l’anima gemella?

Ci sono coppie che vantano una completa identità di pensieri e sentimenti. Si dicono “anime gemelle”, senza segreti l’uno per l’altro. Questa perfetta fusione libera dall’ansia di fronte alla diversità e dalla paura dell’abbandono, permette tranquillità nel presente e dona sicurezza per il futuro, ma rivela volontà di controllo e rifiuta la libertà del desiderio, finendo per rivelarsi un obiettivo illusorio.

«Siamo anime gemelle».

«Siamo due gocce d’acqua».

«Ci capiamo al volo».

«La pensiamo allo stesso modo».

«Tra noi non ci sono segreti».

Frasi che suggeriscono un legame di coppia armonioso, pronunciate con orgogliosa convinzione dagli uni, ascoltate con invidia dagli altri. Sembra che i due partner abbiano realizzato il perfetto incastro che permette di ricomporre l’originaria unità del mito platonico, secondo il quale uomo e donna sarebbero stati inizialmente fusi in un unico essere, diviso da uno Zeus invidioso in due metà che da quel momento continuano a cercarsi.

Ma questa completa identità di pensieri, di sentimenti, di valori, è veramente qualcosa di desiderabile o è solo una difesa di fronte all’ansia, alla paura della perdita dell’oggetto d’amore?

È difficile accettare la diversità dell’altro, la sua irriducibilità al nostro volere, la sua libertà e imprevedibilità, sopportare il suo segreto e il suo non detto. Annullare l’alterità sciogliendola nel rapporto simbiotico consente un controllo totale, non solo sul presente, ma anche sul futuro, è il tentativo di ricreare il rapporto iniziale madre-figlio, cui siamo legati da eterno rimpianto. Un rapporto perfettamente appagante, che ignora il timore, ignora l’inquietudine, ignora l’incertezza.

In questo modo ci liberiamo dell’ansia, ma rinunciamo alla possibilità di stupirci per i giochi del caso, di meravigliarci per l’imprevisto, di accogliere la sorpresa del futuro, di accettare i rischi del vivere. Tuttavia uomini e donne sono esseri irrequieti, vittime delle loro contraddizioni: la noia della prevedibilità può indurre a vagheggiare una seconda chance, un nuovo inizio in una relazione che prometta nuove emozioni e rivitalizzi un eros asfittico, sempre inseguendo l’obiettivo illusorio della fusione perfetta. Spesso il risultato non cambia perché il nuovo rapporto non fa che riproporre le modalità del precedente.

E possiamo continuare, con una terza, una quarta, una quinta… occasione, sospinti dalla coazione a ripetere, come i bambini che vogliono vedere sempre lo stesso film.

Il cambiamento, apparentemente vistoso, alimenta il ciclo perverso della ripetizione dell’uguale: la stessa ansia di controllo, la stessa paura della libertà del desiderio dell’altro. Che fare? Riconoscere in noi questo schema di comportamento e coglierne le contraddizioni. Dopo questa presa di consapevolezza, se ce la facciamo (e non è detto), cerchiamo di dare maggiore spazio alla creatività e alla fantasia, e abbandoniamoci fiduciosi al rischio del futuro.

Conosciamo l’ambigua profezia della sibilla Cumana: “Ibis redibis non morieris in bello”, sta a noi decidere dove mettere le virgole[*].

[*] Se, infatti, si pone una virgola prima di «non» («ibis, redibis, non morieris in bello»), il significato del responso è «Andrai, ritornerai e non morirai in guerra»; se, invece, la virgola viene spostata dopo la negazione («ibis, redibis non, morieris in bello»), il senso è sovvertito nel suo contrario: «Andrai, non ritornerai e morirai in guerra».

Psicologo e psicoterapeuta. Fondatore e responsabile scientifico di Fondazione Lighea Onlus.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *