Una mattina di un anno fa, mentre accompagnavo il più grande dei miei figli alla scuola materna, mi accorgo di una calca frenetica di genitori e bambini ferma davanti alla porta d’ingresso della scuola. Il primo pensiero è stato: «Sarà uno sciopero…» Nei venti metri che mi separano dal mucchio di persone appiccicate come mosche al vetro dell’ingresso produco un turbinio di pensieri tra loro in conflitto che ruotano intorno alla parola “sciopero”. E mi sento un po’ come in quei cartoni animati dove gatto Silvestro si trova ad ascoltare un diavoletto e un angioletto che, comparsi sopra le spalle, gli consigliano cosa fare.
Da un lato solidarizzo con le maestre. Lo sciopero è importante, le maestre sono brave, fanno un buon lavoro e poi l’adeguamento ISTAT e il permesso non retribuito. Dall’altro penso che domani avrei una riunione importante e dovrei spostare dei colloqui. Mia moglie lavora anche lei, siamo fortunati a lavorare tutti e due oggi come oggi, però i nonni lavorano ancora tutti e trovare una tata per un giorno non è facile. Maledizione allo sciopero! Lo fanno apposta, sempre di venerdì, per attaccarci il weekend. Che bella vita le maestre! Così mentre io perdo tempo e denaro loro vanno tre giorni a Ponte di Legno. Arrivo all’entrata della scuola con le mascelle serrate, mi avvicino alla porta a vetri rassegnato come un detenuto che percorre il miglio verde. Resto immobile senza capire per almeno trenta secondi finché mio figlio mi riporta alla realtà tirandomi per un braccio: «Papà cosa si mangia oggi?» «Pasta al sugo», rispondo, e mi rendo conto che sto fissando un coloratissimo menù che era il punto d’arrivo di quella calca…
Le mattine seguenti mi accorgo che la cosa si ripete come un rito. Si arriva all’ingresso della scuola, ci si fa largo per arivare al menù e si entra. E alle 16, quando si va a prendere i bambini, il rito si completa con La domanda. Una sola. Tre parole: «Ha mangiato tutto?» E così quando arriva il mio momento e mi trovo faccia a faccia con la maestra, sorrido e chiedo come è andata oggi, lei mi risponde in automatico: «Ha mangiato tutto!» Non che non mi faccia piacere sapere che i miei figli mangiano volentieri, intendiamoci, ma personalmente mi interessa sapere altro. Per esempio come è andata la giornata, se si è divertito, che giochi hanno fatto, con chi giocano più volentieri, con chi meno o a quali attività partecipa più volentieri, cosa gli hanno insegnato e cosa ha imparato… In fondo parliamo di sei ore al giorno, o addirittura otto per alcuni, e di queste circa 45 minuti di mensa.
E la cosa più importante da sapere sulla giornata dei nostri figli è se hanno mangiato?
A quanto pare si. Una sera a cena con amici assisto a un confronto tra neomamme. Si parla di cibo, ovviamente, e scopro che il menù sul vetro della scuola di mio figlio è solo la punta di un iceberg.
Ho iniziato a interessarmi del fenomeno e ho stilato una mia personalissima classifica del rapporto tra genitori e cibo. Da questa breve ricerca sono emerse quattro macro categorie. Il meno in voga di tutti è quello che ho definito “il tradizionalista”, o anche “più fa schifo più fa bene”. Resistente alle mode, è la scelta del genitore che non può sbagliare e che di fatto non sbaglia mai. Se è amaro fa bene. Se è verde fa bene. E soprattutto quello che c’è nel piatto si mangia, tutto. La piramide alimentare si regge su un’unica antica certezza: l’olio di fegato di merluzzo. Lo definirei l’ancient regime della nutrizione. Rappresenta la madre che sa di cosa il suo bambino ha bisogno. E mi ricorda inevitabilmente mia nonna.
Molto più in voga invece sono i No Global o anche “genitori bio a km zero”. Alcuni cibi sono banditi. Se non lo produci sul tuo balcone non sai mai da dove arriva. Se ti confronti con loro scopri intrighi internazionali nel tuo supermercato. Se mangi carne mangi antibiotici. Se mangi verdure mangi pesticidi. Se mangi pesce mangi piombo ed era meglio uno shot della colonnina di mercurio del tuo termometro. Se compri sotto costo fai male, se compri il marchio fai male. Il loro obiettivo, più che nutrire i propri figli, è boicottare una multinazionale. E alla fine di una discussione ti viene voglia di autoinvitarti a cena a casa loro per sapere cosa mangiano. Quando ci vai puoi fare due scoperte: la prima e più tranquillizzante è che comprano e mangiano le stesse cose che compri tu. La seconda è che non sono tanto diversi dai rigidi tradizionalisti, perché mangiano cose che sanno di poco e che di norma non mangi con piacere.
Poi ci sono i sostenitori dell’autosvezzamento o anche “uditori di figli”. La loro missione è ascoltare i propri figli. Sono gli abbonati RAI della genitorialità, hanno un posto in prima fila in platea e ascoltano. Fin da piccolo il bambino deve decidere del proprio nutrimento. Mangia se vuole mangiare. E soprattutto decide cosa mangiare. Se vuole il latte materno avrà una tetta disposizione fino a data da destinarsi. Sono dei liberali, il laissez faire è il loro metodo. Se gli chiedi qual è il piatto preferito del figlio però non sanno rispondere.
Infine ci sono i confusi o anche “food snipers“. Non sono dei tiratori scelti ma sparano nel mucchio delle tante tendenze. Di fatto non si capisce bene dove si collocano e riflettono a pieno le preoccupazioni dei genitori di oggi. Grandi insicuri. Temono di commettere errori. Come se fosse possibile non farne.
Devo essere sincero, non ho idea di cosa sia meglio mettere nel piatto dei nostri figli e la riflessione di queste righe non vuole essere un summit sulla nutrizione dei bambini. Ma mi permetto di consigliare un atteggiamento più leggero nei confronti di quello che definirei un non-problema. Fate assaggiare ai vostri figli più cose possibili e diverse. Fate in modo che almeno una volta alla settimana nel piatto possano trovare il loro pasto preferito. Evitate di fargli mangiare le cose che non gli piacciono. Le mangeranno poi. E assolutamente non fategli mangiare cibi scaduti o velenosi. Per il resto usate la cucina, il cucinare e il mangiare come mezzo per stare insieme e sperimentare. Quanto alla scuola, lasciamo che faccia il suo corso e magari con sorpresa ci troveremo un alleato al nostro fianco nella faticosa impresa di crescere i nostri figli e non un nemico da controllare con sospetto. Le mense scolastiche applicano di regola nelle scelte del menù criteri scientifici, basati su medicina e buon senso. Seguirne le linee guida può essere un’opportunità. Sempre meglio che sposare una teoria mal confezionata su internet o un rigore alimentare che non poggia su basi scientifiche.