Psiche

Contatto fisico, i limiti e i confini da rispettare

Si parla molto in questo periodo di tornare al contatto: quello fisico, dopo il distanziamento che ci è stato imposto dal Covid. Ma tornando al contatto dobbiamo tornare a ricordare anche quali sono i suoi confini

Immaginate questa scena: all’interno del salotto di un appartamento, alcune persone stanno trascorrendo del piacevole tempo assieme. A un certo punto suonano al campanello: è Luca, che entra in casa e saluta tutti, festosamente ricambiato. Poi si avvicina a Sara: “E tu non me lo dai un bacino?”.  Sara scuote la testa, un po’ imbarazzata; “E dai, ma come non mi dai un bacio?”, insiste Luca, mentre gli altri lo guardano divertiti, allora la afferra e, stringendola a sé, le assesta un bacio sulla guancia. Sara cerca di liberarsi, si lamenta, non vuole il suo bacio e non vuole dargliene uno, ma alla fine cede, tra gli “E dai” degli astanti e, infastidita e imbarazzata, torna a fare quello che stava facendo. 

“Ma che diavolo è successo?”, vi starete chiedendo, “Nessuno ha fatto niente per aiutare Sara? Tutti guardavano e nessuno ha preso le sue difese? Lei non voleva baciare Luca e lui l’ha costretta!”. Eh già, ma Sara è una bimba di quattro anni e Luca è lo zio o l’amico di famiglia che Sara vede raramente, ma che deve salutare con un bacio, perché così si fa e perché altrimenti Luca si offende.

Leggendo questa storiella vi sarete sicuramente arrabbiati per il sopruso subito da Sara e indignati perché nessuno ha mosso un dito per proteggerla, ma molto probabilmente vi siete immaginati un contesto di soli adulti e questo vi ha aiutati a identificarvi nella situazione. La vostra reazione sarebbe stata la stessa se avessi specificato da subito l’età di Sara? E se avessi semplicemente scritto: “Lo zio Luca va a trovare i parenti e la nipotina Sara; al suo arrivo, Luca vuole darle un bacio, lei no, ma i genitori le dicono: ‘Sara, dai un bacio allo zio!’ e lei lo fa”?  La maggior parte di noi si è trovata probabilmente nei panni della piccola Sara, a dover dare baci e abbracci a parenti o estranei, perché loro ce lo chiedevano o perché i nostri genitori ci dicevano di farlo, e magari in quel momento eravamo arrabbiati, o non in confidenza, o semplicemente non ne avevamo voglia. E molti di noi, una volta diventati genitori, avranno detto ai figli almeno una volta: “Dai un bacio al nonno, dai un bacio alla zia”. E a volte si creano situazioni imbarazzanti perché il bambino non vuole, si nega, e viene obbligato. 

Si chiama affetto forzato, e nessun bambino dovrebbe sperimentarlo, per tanti motivi.

Innanzitutto, perché gli si insegna che non è padrone del proprio corpo e del proprio sentire, e che un adulto qualunque può forzarlo a fare qualcosa che non vuole; poi perché gli si veicola il messaggio che se una persona vuole contatto fisico, allora deve averlo, anche se lui/lei non vuole darglielo. Lo si educa al mettere in secondo piano ciò che sente e ciò che vuole, perché ciò che vuole l’altro è più importante; e quindi, più avanti negli anni, non è così strano sentirsi obbligati a farsi toccare e baciare anche se non si è sicuri di volerlo, sentire di doversi dare anche se non se ne ha molta voglia e magari non c’è un consenso. Ed è più difficile dire no.

Il rispetto per gli altri non può far dimenticare il rispetto di se stessi e questo rispetto va insegnato fin da piccoli: il sentire del bambino va ascoltato e accettato e accettati devono essere anche i suoi confini corporei. Il bambino non è un bambolotto da stropicciare a piacimento degli adulti, ma un individuo vero e proprio, che, esattamente come un adulto, deve poter scegliere se dare o non dare un bacio o un abbraccio, senza poi sentirsi giudicato o rifiutato se non lo ha fatto. E non è certo una questione di buona educazione: è vero che il bacio, oltre a una manifestazione di affetto, è anche una convenzione sociale che si è soliti usare per salutarsi, ma per un bambino ha prevalentemente un significato affettivo, e obbligarlo a dare un bacio anche se non vuole è assolutamente antieducativo e pericoloso, perché gli si insegna che essere affettuosi con gli altri è sinonimo di buona educazione. E questo può esporlo anche a contatti pericolosi. Negare un comportamento di affetto non è certo segno di mancanza di educazione. La buona educazione è ben altro: è un ciao, un buongiorno, un buonasera, un cinque stampato sulla mano, insomma una norma sociale che preserva lo spazio vitale di ciascuno. 

Quindi, invece di forzare il bambino a dare e ricevere effusioni indesiderate, è importante insegnargli il rispetto per il proprio corpo, assecondandolo quando non vuole farsi toccare perché magari si sente a disagio, senza ridicolizzarlo o minimizzare, insegnandogli a non farsi toccare se non vuole e che può decidere se e quando dare o ricevere un bacio o un abbraccio. Tanto lo zio Luca non si offende, e se se la prende è abbastanza adulto da farsela passare.

Psicologa e Psicoterapeuta. Si occupa di terapia familiare, di coppia e del singolo individuo. Collabora con Fondazione Lighea Onlus.

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