«Quelli sono come cane e gatto», come a dire che sono persone inconciliabili, da sempre su posizioni diverse, nemici insomma. Mi piacerebbe cercare di esplorare di più quelle che più che categorie animali, a guardarle bene, mi paiono vere e proprie posizioni esistenziali: proviamoci dunque.
Placido, notturno, il gatto sembra non interessarsi molto del mondo, sembra del tutto autosufficiente, misurato, lento direi. Non manifesta grande attaccamento, ti passa vicino, si struscia leggermente alle gambe, sembra quasi stia accadendo per caso, sembra volerti dire che potrebbe anche volere qualche coccola – ma misurata – e, anche se non arriva, pazienza.
Fedele a se stesso, eventualmente alla casa, propone una relazione che deve essere continuamente verificata, non data per scontata, quasi si tenesse sempre per lui la carta del traditore, del voltagabbana; così evitante che il suo affetto diventa prezioso perché provvisorio, caduco, instabile. Grande giocatore di poker, la sera sembra che dorma, ma in realtà conta i minuti che mancano alla notte, dove nell’oscurità più assoluta colpisce, divora, cattura. Il suo appetito è misurato, mangia con la voracità necessaria, non va oltre, sicuro che per lui un pasto ci sarà sempre.
L’altro, invece, è iperattivo, sempre in cerca di attenzioni, irrequieto e adorante, così bisognoso di dimostrazioni d’affetto da meritarsi il titolo di miglior amico dell’uomo, contrabbandando per amore e fedeltà la sottomissione e la dipendenza assoluta nei confronti dell’altro. Lo si compra davvero con poco, la sua insicurezza interiore è tale che basta uno sguardo, una mano tesa, una carezza, per avere promessa di dedizione eterna. Non tradisce neanche se maltrattato, ridotto alla fame, dimostrando una oblatività che tra noi bipedi sarebbe sicuramente più vicina alla sindrome di Stoccolma che all’amore. Il suo appetito è smodato, incontrollabile, bulimico. Da come mangia si avverte plasticamente la sua ontologica insicurezza, non essendo un cacciatore e non avendo grandi capacità seduttive, cerca di mangiare più che può perché non può mai essere sicuro di quando sarà la prossima volta.
Certo a rileggere ciò che ho scritto mi rendo conto che forse potremmo elaborare una teoria della personalità basata su queste categorie: quanti di noi si sentono sicuri, rimangono in attesa della preda, in amore, sul lavoro, nelle relazioni? Quanti , invece, sempre affaccendati e agitati, sperano di essere notati, di avere qualcuno che dedichi loro attenzioni, e non è mai abbastanza, non si è mai abbastanza amati, mai abbastanza sazi, abbastanza preparati.
La proposta, dunque, potrebbe essere quella di aiutare i gatti a chiedere, quando ne hanno bisogno, e a legarsi un po’ di più: di mangiare porcate a dismisura, di essere meno puliti. Ai cani invece andrebbero proposti percorsi di rassicurazione emotiva e affettiva, attività per allenare la lentezza, la misura, e magari una maggiore igiene.
In quanto a me, a me che scrivo, debbo dire che a volte riesco a dare l’impressione di essere un gatto, riflessivo e fermo; ma gli osservatori più attenti spesso scorgono il cane di un tempo che, avendo perso un po’ di energia e qualche dente, cerca di fare di necessità virtù.