Il guaio della seconda ondata è che siamo tutti peggiori

La solidarietà della prima ondata è svanita: ora prevalgono lo scetticismo e le manifestazioni rabbia

A proposito del Covid 19 Slavoj Zizek parla di tempesta perfetta per il convergere di tre criticità: emergenza sanitaria, crisi economica, rischio per la salute mentale. Senza escludere la possibilità dell’esplodere di conflitti armati e dell’inasprirsi di politiche repressive in un mondo “distratto” dalla pandemia.

Frastornati dall’inseguirsi di dichiarazioni, annunci, decreti spesso discordanti, siamo più stanchi , più scettici, più sfiduciati.

Dopo mesi passati a dirci quanto eravamo stati bravi ad arginare il virus, i migliori in Europa, il brusco risveglio porta ansia, incertezza, paura, alimenta fantasmi e destabilizza psicologicamente. Persone che avevano mantenuto un loro equilibrio durante la prima ondata, sentono vacillare la fiducia nella guida delle autorità responsabili che non hanno saputo prevenire il ritorno massiccio del virus.

A parte le dissennate proteste di negazionisti e le vergognose manifestazioni infiltrate di elementi malavitosi, in giro si avverte un generico e diffuso montare della rabbia, una rabbia compressa che trova il minimo motivo per esplodere in modo catartico.

Non giova il ricorso a metafore belliche: alla parola “guerra” da subito usata in maniera impropria, si è ora affiancato il termine “coprifuoco” che evoca immagini di città spettrali attraversate dal lugubre suono delle sirene.

Albert Camus aveva usato la peste come metafora della guerra, oggi usiamo la guerra come metafora della pandemia.

Dove sono finiti la solidarietà della prima ondata, il sentimento di appartenenza alla stessa comunità? Quella consapevolezza di una sorte comune che doveva renderci tutti migliori? 

Da più parti si sente invocare il ritorno alla concordia sociale di quei giorni di marzo, quando si faceva musica e si cantava dai balconi. Inutilmente. Quei giorni non torneranno.

E’ venuta meno la fiducia in un rapido ritorno alla normalità. Ora sappiamo che durerà a lungo. Qualcuno incomincia addirittura a parlare non solo di incertezza del futuro, ma dei destini della specie umana aggredita da altre specie presenti in natura.

E allora dobbiamo imparare a convivere con questa e le eventuali pandemie future.

Quante volte abbiamo detto ai nostri pazienti che, una volta messi in atto tutti gli interventi capaci di migliorare la loro qualità di vita – assistenza psichiatrica, controllo farmacologico, sostegno psicologico, comunità terapeutiche, assistenza domiciliare, programmi riabilitativi –  devono abituarsi a convivere con il disagio psichico. Ora è arrivato il nostro turno.

Anche in questo caso la convivenza può avvenire ad alcune condizioni: una medicina del territorio efficiente , capace di gestire il malato a domicilio e di non lasciarlo solo, accesso rapido agli strumenti diagnostici, un sistema di tracciamento valido; qualora si renda indispensabile il ricovero, reparti attrezzati e personale sufficiente.

Altrettanto importanti sono però disposizioni chiare e informazione trasparente, che non semini paura, non usi toni minacciosi, ma svolga opera di persuasione, inducendo all’adozione convinta di comportamenti virtuosi.

Raffaella Crosta

Psicologa. Collaboratrice della fondazione Lighea. Dal 1980 si occupa di terapia e riabilitazione di pazienti psichiatrici.

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