In una scala da 1 a 10 quanto è importante la capacità di sapersi mettere in discussione? Il confronto, l’apertura, la ricerca e la curiosità sono elementi vitali per la crescita umana e per la relazione tra persone. Attraverso questi aspetti si incentivano scambi di visioni, condivisioni di idee, si esplorano esperienze emotive in grado limitare o inibire l’evoluzione di ogni singolo pensiero espresso a parole o attraverso il comportamento. Se questo vale per ognuno di noi, vale ancor più per chi insegna.
L’insegnante si relaziona ogni giorno con ragazzi e ragazze in pieno cambiamento ed evoluzione e una tra le sue più preziose risorse, da allinearsi ovviamente alle competenze sulla materia, è quella di poter rappresentare uno strumento esemplificativo e concreto proprio del confronto, dell’apertura, di quella capacità di mettersi in discussione che permette – essa stessa – di evolvere.
Si tende a dare per scontato che chi insegna sia allenato allo scambio aperto e assertivo, alla flessibilità nel dialogo e nell’ascolto, al confronto aperto e sfidante, al paradigma della crescita e del cambiamento dinamico.
Allora quanto conta, alla luce di queste considerazioni, anche la capacità di auto osservazione e di costante evoluzione, così da offrire ai suoi alunni quell’esempio necessario per trasmettere e garantire la capacità di saper dubitare anche di sé stessi, mettendosi costantemente in discussione?
Già nel razionalismo di Cartesio veniva inneggiata tale abilità come il solo strumento autentico in grado di condurre alla verità e alla conoscenza. Attraverso il ”Cogito ergo Sum” si ha la prova di esistere, di pensare, di essere, di evolvere: cosa potrebbe accadere se l’adulto, soprattutto quando seduto al di là di una cattedra, smettesse di osservarsi con il filtro del dubbio divenendo portatore di verità assoluta?
È quindi dall’insegnante che ci si deve aspettare la garanzia del dubbio e il sigillo del valido insegnamento attraverso di esso. Ogni genitore spera di partecipare a un colloquio certo e consapevole che, per formazione, sarà quell’insegnante stesso che, per primo, si sarà auto osservato con diligente coscienza rispetto al proprio metodo di relazione, di insegnamento, rispetto ai suoi aspetti da rafforzare e migliorare, salvo poi mettere in evidenza le aree di potenziamento del loro figlio.
Se tale capacità di auto osservazione e autoregolamentazione fosse carente, verrebbe a mancare a mio avviso quello che per Cartesio è il metodo che porta alla reale conoscenza: mancherebbe l’evidenza, elemento in grado di portare a prove certe; mancherebbe l’analisi, strumento indispensabile nelle mani dell’insegnante per osservare la realtà complessa, sua e del contesto relazionale, oltre che della performance degli studenti; mancherebbe la sintesi, la capacità umana di saper organizzare in modo maturo e ordinato i pensieri su di sé e sul mondo condiviso con il ragazzo o la ragazza e, in ultimo, mancherebbe quella che Cartesio definisce induzione, cioè la capacità di saper rivedere ognuno di tali passaggi certi di non aver omesso alcuna possibilità di lettura, di non aver tralasciato passaggi chiave che potrebbero condurre ad una costruttiva e trasformativa conoscenza, di lui e dell’altro, inclusiva di ogni elemento della causa.
Per insegnare, quindi, per trasmettere conoscenza e favorire la crescita non basta sapere e saper comunicare il proprio sapere. Serve anche la necessaria e mai scontata responsabilità di sapersi mettere continuativamente in discussione certi che “la ricerca della verità è più preziosa del suo possesso”, come direbbe A. Einstein.