“Eravamo dunque preparati al fatto che guerre tra popoli primitivi e popoli civilizzati (…) avrebbero tenuto occupata l’umanità ancora per lungo tempo. Ma ci cullavamo anche in un’altra speranza. Dalle grandi nazioni di razza bianca dominatrici del mondo (…) a cui erano dovuti i progressi tecnici per il dominio della natura nonché i valori della cultura, dell’arte e della scienza, di questi popoli, almeno, ci aspettavamo che giungessero a risolvere per altre vie i loro malintesi e i loro conflitti di interesse”.
Così scrive uno scorato Freud nel 1915, osservando lo spettacolo dell’Europa in guerra. E insiste più volte sul senso di delusione profonda nel vedere riaffiorare pulsioni egoistiche elementari sulle quali si era a lungo esercitata l’azione evolutiva del processo di incivilimento. Rispondendo ad Albert Einstein che lo interroga (carteggio 1932) su “Perché la guerra?”, Freud torna sull’argomento, ravvisando la presenza nella psiche umana di una pulsione aggressiva e distruttiva e di una pulsione erotica indissolubilmente intrecciate, ovvero, con altra terminologia, di Eros e Thanatos, pulsione di vita e pulsione di morte.
“Vi è una possibilità – lo incalza il suo interlocutore – di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?”. Forse nessuna, tuttavia Freud non rinuncia alla fiducia: come il carattere dell’individuo viene plasmato dall’azione educativa, così è possibile sperare che il processo di incivilimento produca un’evoluzione mentale in grado di controllare gli impulsi più aggressivi e distruttivi.
Tale fiducia sembrerebbe, a oggi, mal riposta. Prigioniero delle sue contraddizioni, il genere umano si ribella alla inevitabilità e alla ferocia della guerra, pur non riuscendo ad espellerla dalla storia. Certo, la nostra coscienza morale è senza dubbio maturata, tanto che non possiamo fare a meno di indignarci, ma il giudizio morale non ferma le armi.
A un secolo di distanza siamo ancora qui a constatare che tanto sviluppo scientifico e tecnologico, tante conquiste civili, politiche e sociali, tanti progressi nel riconoscimento dei diritti umani sono valsi a poco. Che il legno storto dell’umanità sia immodificabile?
Con la stessa incredulità con la quale Freud guardava allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, guardiamo oggi a una guerra che si svolge non in terre lontane che, a torto o a ragione, consideriamo arretrate rispetto alla civilissima Europa, ma nel cuore stesso del nostro continente. Siamo tanto increduli e sconcertati da cercare spiegazioni ricorrendo a formule abusate, quali: Putin agisce da “folle”, Putin non ragiona come noi, non appartiene alla nostra umanità, è “diverso”. No, Putin non è né folle né diverso, è invece troppo umano nell’abbandonarsi alle pulsioni aggressive. Conquistato da un disegno di potenza e da ambizioni imperiali di dominio, ha alimentato una rilettura della storia nel segno di un nazionalismo vittimista che rivendica il riscatto dell’umiliazione subita dalla Russia in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. La sua promessa di “conseguenze mai viste nella storia” sembra indicare una violenza furiosa, sotto la maschera gelida, ed evocare sinistramente la minaccia del nucleare.
A volte però questo legno storto dell’umanità è capace di sorprenderci: nelle città russe uomini e donne hanno avuto il coraggio di scendere in piazza e, nonostante l’intolleranza nei confronti del dissenso e la brutalità della repressione, di manifestare contro l’invasione dell’Ucraina. Si tratta certamente di élites cittadine minoritarie, ma, più di qualsiasi sanzione, sono loro a mantenere viva la speranza nel futuro dell’umanità.