L’incipit ha un sapore pirandelliano. Ricorda quello di Uno, nessuno e centomila, dove tutto ha inizio da una banale osservazione: “Il tuo naso pende”. Le parole della moglie innescano in Vitangelo Moscarda una serie di interrogativi sulla differenza tra il suo sguardo e quello degli altri, che lo portano a sentirsi estraneo a sé stesso, costruzione di coloro che lo circondano, i quali l’hanno “messo su” a modo loro. Da qui la sua lotta per liberarsi di quelle maschere estranee e vivere una vita autentica, fino alla volontà di regredire allo stato vegetale, allo stato minerale, albero, pietra, elemento indistinto della natura, dissolvendo la propria identità.
Anche all’inizio de I baffi di Emmanuel Carrère (Adelphi, Milano 2020) c’è una moglie. Prima che uscisse il nostro protagonista le aveva chiesto: “Che ne diresti se mi tagliassi i baffi?”, e lei aveva risposto ridendo: “Sarebbe una buona idea”. Lui si era rasato e adesso attendeva il suo ritorno per vederne la reazione. Il lettore ha subito la sensazione che quei baffi siano stati per lungo tempo una parte importante del viso dell’uomo, qualcosa che gli conferiva identità, e che la scelta di tagliarli si carichi di significato. La reazione attesa non arriva, la donna non mostra di accorgersi del cambiamento e ugualmente si comporta la coppia di vecchi amici dai quali i coniugi sono invitati a cena. Lui pensa a uno scherzo e attende che si concluda con una risata liberatoria, poi lo sconcerto aumenta. L’indomani, quando colleghi e collaboratori del suo studio manifestano la stessa indifferenza, inizia a sospettare che non si tratti di un gioco innocente, ma di un complotto che nasconde qualcosa di sinistro. Finalmente si decide a porre una domanda diretta alla moglie e si sente rispondere: “Tu non hai mai avuto i baffi”. Il lettore, che ha solidarizzato con lui, ne ha condiviso prima lo stupore, poi l’irritazione, con l’aumentare dei pensieri ossessivi e l’emergere di fantasie persecutorie, inizia a nutrire dubbi sulla sua lucidità mentale.
Ma anche lui incomincia a pensare che c’è qualcosa che non va.
È forse pazzo? O pazzi sono gli altri? O forse la realtà è ancora più inquietante: coloro che lo circondano, moglie, amici, colleghi, tutti uniti, tutti complici, vogliono farlo diventare pazzo o, peggio, convincerlo di essere pazzo?
Si accanisce a trovare testimonianze che lui i baffi ce li aveva, eccome. Fruga tra vecchie fotografie, ma non ottiene le certezze che cerca perché lo sguardo di chi le osserva vede cose diverse. Pensa di rivolgersi ai suoi genitori, ma i tentativi di recarsi alla loro abitazione falliscono perché non riesce a ricordare il numero civico dell’edificio. Si stringe alla moglie, cerca nell’amore e nel sesso sollievo e protezione. Ma le difese cedono. Sente di non potersi fidare di nessuno e decide di fuggire, di mettere migliaia di chilometri tra lui e quella gente infida.
Corre all’aeroporto, salta sul primo aereo e si ritrova a Hong Kong. Qui consuma le giornate sul traghetto tra le opposte rive della città. Scivola così in una abulica quotidianità senza tempo. Il lettore lo segue nel suo monotono andare e venire, andare e venire, andare e venire… intanto “ascolta” crescere i baffi. Talvolta pensa di telefonare a casa, ma i rari tentativi falliscono. Non c’è linea, l’apparecchio squilla a vuoto… L’incontro casuale con un sedicente australiano lo porta a trasferirsi a Macao. E qui il racconto precipita verso la sorpresa finale e il tragico epilogo.
Un giorno, rientrando in albergo, trova nella sua camera la moglie. La donna, sdraiata sul letto, sfoglia una rivista e gli rivolge domande che rivelano una consuetudine quotidiana: se abbia concluso l’acquisto dell’incisione che gli stava a cuore, se voglia tornare, in serata, al casinò… Lui va in bagno, si immerge nella vasca, impugna il rasoio e attacca i baffi, ormai folti, poi intacca la pelle e entra sempre più in profondità dilaniando la carne, ancora e ancora, sino all’osso. Infine, scivola con la lama in basso e taglia sotto il mento, da un orecchio all’altro.
Il lettore fa una sconvolgente scoperta. Fin qui, pur convinto che il personaggio soffra di gravi disturbi psichici, non ha mai dubitato della realtà dei fatti narrati, mentre ora si accorge di essere stato portato a spasso nei meandri della follia e di avere delirato con lui per centocinquanta pagine.
È vero. La letteratura è capace di scendere nella profondità della psiche e di illuminarla meglio di qualsiasi testo scientifico. Gli aspiranti psicologi dovrebbero sempre ricordarlo. Davanti agli occhi del lettore si dispiega in tutta la sua drammaticità lo sviluppo di una psicosi nelle sue varie fasi: dai primi labili segnali all’insorgere dei sintomi, al loro consolidarsi, alla progressiva colonizzazione della mente da parte di pensieri ossessivi e persecutori, fino al deflagrare di un delirio capace di annullare completamente la realtà e di sostituirla.