Sento dire dagli adolescenti che mi capita di frequentare: “I miei genitori non mi capiscono”. La frase mi suona familiare, anch’io, quando avevo la loro età, la dicevo. A loro volta mio padre e mia madre l’avevano detta ai loro genitori e la stessa cosa era accaduta risalendo su, su, per i rami delle generazioni. Più tardi, molti anni dopo, ho visto con più chiarezza in questa presunta incomprensione e ora mi piacerebbe affidare ciò che ho compreso a una lettera rivolta ai ragazzi di oggi, anche se so che nessuno di loro la leggerebbe e che se anche qualcuno la leggesse non ne sarebbe convinto. Suonerebbe pressappoco così.
Cari ragazzi, quante volte avete detto o pensato: mio padre, mia madre non mi capiscono; quante volte avete sentito i vostri genitori ripetere: non capisco più mio figlio. Vi sentite incompresi, come i vostri genitori hanno pensato un giorno di esserlo, e così i genitori dei genitori…. Che il problema, lo stesso, che si presenta puntualmente di generazione in generazione, risieda nella diversità di linguaggio?
Tutti i filosofi, pur con differenti sfumature, sono arrivati alla conclusione che le parole sono uno strumento imperfetto perché il significato che io attribuisco loro non è quello di chi mi ascolta: insomma, crediamo di capirci, ma in realtà non ci capiamo mai. Tuttavia, pur con tutte le approssimazioni del caso, noi parlanti riusciamo in qualche modo a intenderci.
Rassegniamoci ad accettare di convivere con una comunicazione fluttuante e tanto più cerchiamo di coltivare la disposizione ad un ascolto reciprocamente attento.
Mentre formulo questo auspicio mi accorgo che l’esortazione va rivolta maggiormente a madri e padri, spesso distratti, spesso impazienti, talvolta arrabbiati, sconcertati, confusi, che, sentendosi inadeguati, delegano l’ascolto a insegnanti e psicologi.
Cari ragazzi incompresi, so che essere ascoltati, anche, forse soprattutto, dai vostri genitori, è per voi desiderio e necessità: che altro ci dice il vostro essere costantemente connessi? Tale desiderio esprime l’eterna domanda di amore: il bisogno di essere amati e di amare. Cari ragazzi incompresi, anche un NO può essere a volte manifestazione di affetto e di cura. Genitori insicuri, preoccupati di perdere il vostro affetto, hanno disimparato a dire di no, abdicando così al ruolo di educatori. Un tempo era proprio dei bambini la paura di perdere l’amore di padri e madri, oggi le posizioni si sono invertite: sono spesso i genitori a subire il ricatto affettivo, che li indebolisce, ne insidia l’autorevolezza, non permette loro di agire come salde figure di riferimento normativo.
Mi accorgo che queste ultime amare considerazioni non dovrebbero essere rivolte a voi, ma a molti padri e a molte madri. Tuttavia, vi possono aiutare a conoscere e compatire le debolezze altrui.
Voi vivete un’età di trasformazioni, difficile, complicata, ma anche esaltante, state cambiando pelle, e, sotto gli atteggiamenti spavaldi che talvolta assumete, vi sentite spesso incerti, timorosi, inadeguati. Ebbene, anche i vostri genitori sono spesso timorosi, si interrogano su come rapportarsi a quel essere misterioso che è diventato loro figlio, si sentono disorientati, incapaci di interpretare il proprio ruolo.
Tanto più si impone la necessità di un ascolto empatico, per superare incomprensioni e paure e stabilire quel patto generazionale che permette la trasmissione di memorie e valori.
Cari ragazzi incompresi, mi fermo qui, con gli auguri più sinceri che possiate realizzare le vostre aspirazioni. So che non leggerete queste mie note oggi…forse tra una ventina d’anni…chissà…