Un fotogramma da una pubblicità dell'Esselunga: una bambina seduta nella poltroncina di sicurezza sul retro di un'automobile porge una pesca a suo padre, accucciato fuori dallo sportello aperto al suo fianco.
Attualità

La pesca della discordia

“Vomito ergo sum”, si potrebbe dire. Il caso della pubblicità della grande distribuzione che ha scatenato un putiferio di commenti, incluso quello della presidente del Consiglio, fa riflettere sulla necessità di esprimere sempre, a tutti costi, un’opinione. Netta, decisa, bianca o nera.

“È pericoloso confondere il parlare senza pensare e il dire la verità”, diceva Benoit Blanc, protagonista del film Glass Onion – Knives out (2022) a una influencer-imprenditrice fallita, che si vantava di dire sempre la verità e di risultare, per questo, scomoda. Chissà perché questa frase, che mi aveva molto colpita quando ho visto il film, mi è tornata in mente in questi giorni, in cui per l’opinione pubblica sembra esistere un solo argomento: il nuovo spot dell’Esselunga, quello con la pesca.

Tralasciando il fatto che si sia reso necessario spiegare che in questo spot il punto di vista adottato è quello della bambina che, come molti figli di genitori separati, soffre di tale situazione e cerca come può, con gli strumenti che ha, di “aggiustarla”, ciò che mi ha colpita è stata la capacità che abbiamo avuto di dividerci anche davanti a quella che è, di fatto, una pubblicità. Non una proposta di governo, non un provvedimento economico o sociale, no: una pubblicità. Sorvolando anche sui motivi francamente surreali sui quali ci si è contrapposti (se lo spot sia di destra o di sinistra, a favore della famiglia tradizionale, o contro il divorzio), colpisce il grande calderone di opinioni, pareri, pensieri, giudizi con cui tutti hanno sentito il bisogno di dare il proprio contributo.

Mi sembra sia l’inevitabile conseguenza della ormai pervasiva influenza del mondo social sul mondo reale (per inciso, non ho sentito nessuno parlare della pesca dell’Esselunga dal vivo, nella vita reale: solo sui social), per cui se non dai la tua opinione su qualunque cosa, allora non esisti.

Sarà l’algoritmo a spingerci a dire la nostra su tutto? Sarà che su internet circolano talmente tante informazioni e che l’autorevolezza delle loro fonti si è così appiattita che tutte sembrano essere messe sullo stesso livello, a spingerci a credere che la nostra opinione abbia la stessa dignità e rilevanza di quella di chi magari su quell’argomento ne sa più di noi? Sta di fatto che questa compulsione quasi bulimica a offrire un parere, diciamocelo, non richiesto, sta portando a una polarizzazione dell’opinione pubblica che annulla qualsiasi complessità del reale, riducendo tutto a un manicheo “o con me o contro di me”.

L’opinione è la convinzione del tutto soggettiva e personale che ci si forma su un fatto, in assenza di elementi di certezza assoluta che ne certifichino la verità. Quindi sono riflessi del mondo cognitivo ed emotivo di ciascuno di noi, espressi sulla base di conoscenze più o meno accurate, emozioni, stati d’animo e desideri, e questo non le rende verità assolute. Anche il contesto in cui vengono scambiate determina il cristallizzarsi su posizioni contrapposte: quando discutiamo dal vivo con altre persone, quello che diciamo e il modo in cui lo esprimiamo viene calibrato sulla base dei nostri interlocutori, che lo ascoltano e rispondono di conseguenza, in quello che diventa un reciproco scambio di pareri, ed è proprio la relazione, la reciprocità, a conservare un minimo la complessità del reale.

Ma quando affidiamo le nostre considerazioni a un post sui social, le stiamo dando in pasto all’etere e a persone sconosciute, di cui non sappiamo nulla, che di noi non sanno nulla e con cui magari non condividiamo niente. Quindi stiamo consegnando nelle mani di estranei una piccola parte di noi: se questa raccoglie consenso, allora ci sentiamo gratificati, ma se riceve critiche o malcontento, allora ci sentiamo aggrediti sul piano personale: ecco quindi che l’opinione diventa verità assoluta per chi la elargisce, e chiunque la pensi diversamente si trasforma in un nemico. Non c’è più un confronto, ma solo contrapposizione.

A tutto questo contribuisce anche il flusso ininterrotto di notizie, pubblicità, sponsorizzazioni, eccetera, non più scelto da noi, ma da un algoritmo che controlla le nostre preferenze, i nostri gusti, le nostre ricerche online e ci propone quindi solo contenuti in linea con il nostro pensiero. Così eccoci schierati e polarizzati sulle nostre bacheche o nella sezione “commenti” di giornali, riviste e pubblicità, in cui ci sentiamo obbligati a dire la nostra, in nome del “tutti abbiamo il diritto di esprimere ciò che pensiamo”, e veniamo automaticamente incasellati in una categoria; non è più contemplata la neutralità. Quindi ci ritroviamo a prendere le parti di questo o di quello, a fare il tifo, a parlare per giorni di questioni inesistenti, a dividerci su quanto una bimba coi genitori separati sia di destra o di sinistra, il tutto con fanatismo, acrimonia e la superficialità conseguente all’urgenza di dover vomitare per forza il nostro punto di vista. Il fatto è che in questo scenario in cui siamo ossessionati dal regalare al mondo la nostra imprescindibile visione di ciò che ci circonda, ci dimentichiamo che questa è, appunto, opinabile e non universale e scambiamo il diritto alla libertà di opinione con il diritto di scrivere tutto ciò che ci passa per la testa senza che gli altri si permettano di smentirlo, anzi: la nostra è la sola opinione che conta, quella dell’altro va prevaricata e distrutta, invece che capita. Per carità, tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, ma ciò non significa che questa sia necessariamente preziosa, valida e interessante.

Per cui, la prossima volta che sentiamo il bisogno impellente di contribuire al caos da tifoseria che imperversa sui social, elargendo la nostra opinione, chiediamoci se questa sia davvero preziosa e interessante. Non è obbligatorio avere un’opinione su tutto e non è obbligatorio condividerla. Anzi, magari facciamo una figura migliore se per una volta non abbiamo niente da dire: forse il non prendere una posizione è la vera trasgressione di questi tempi.

Psicologa e Psicoterapeuta. Si occupa di terapia familiare, di coppia e del singolo individuo. Collabora con Fondazione Lighea Onlus.

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