Psiche

Uno sconosciuto armato di trapano vuole entrare nella mia bocca

La paura del dentista affonda le radici nell’inconscio e si attenua solo se si instaura un rapporto di totale fiducia

Diversamente dalla maggior parte delle persone che conosco non ho mai avuto paura del dentista. Ne ho cambiati tanti però – segno che da qualche parte un fondo d’inquietudine alberga anche in me – trovando sempre, immancabile in ogni sala d’aspetto, l’impanicato di turno, terrorizzato alla sola idea di sentire un trapano ronzare sopra la propria testa.

La paura del dentista è, infatti, insieme a quella per l’altezza, gli insetti e gli spazi chiusi, una delle fobie più diffuse. Per la gran parte dei pazienti questa paura assume tratti lievi, che portano magari a rimandare il più possibile la temuta visita, ma per molte persone la sofferenza è così intensa da indurle a rifiutare le cure odontoiatriche, con gravi conseguenze per la propria salute.
Nella sala d’aspetto in cui mi trovo adesso, invece, complice forse la vista sull’Alzaia Naviglio Grande, non solo nessuno ha un attacco di panico, ma le persone in attesa chiacchierano tra loro, scambiandosi pareri entusiastici sui medici dello studio. Mentre percorro il corridoio per raggiungere il dentista che mi hanno assegnato, incrocio una donna con un sorriso estasiato uscire dalla stanza del vicino dottor B. Ecco il volto di una paziente soddisfatta, penso.
Io incontro, invece, il dottor C: un uomo dai modi gentili e premurosi, che mi spiega con pazienza quello che sta per succedere e mi invita a domandare tutto ciò che non capisco. Durante l’intervento si ferma più volte per chiedermi come sto, e nell’attesa che faccia effetto una seconda anestesia, mi accarezza dolcemente il viso. Vedo i suoi occhi sorridermi da sopra la mascherina. Mi rilasso. Alla reception per prendere un nuovo appuntamento vedo uscire un’altra paziente del dottor B: stesso sorriso e sguardo estatico della donna di prima. Qualsiasi cosa succeda in quello studio deve essere meravigliosa.

Non ci penso più fino a quando, a causa di un disguido nell’agenda degli appuntamenti, qualche settimana dopo finisco per sbaglio sulla poltrona del terzo medico: il dottor D. L’ho intravisto tra i corridoi, e il suo volto severo mi incute un incredibile timore. Deve prendere un’impronta, e per farlo deve inserire nella mia bocca chiusa un bizzarro oggetto vibrante a forma di accendigas. Non è una manovra dolorosa, né particolarmente fastidiosa, ma lui deve cogliere il mio disagio, perché lo sento più volte chiedermi delicatamente scusa con il suo caldo accento campano, tutte le volte che costringe le mie labbra a una posa innaturale. Sembra toccare il mio viso come se fosse una cosa davvero preziosa. Ogni tensione si dissolve.
Mentre l’immagine in 3D della mia bocca prende forma sullo schermo mi scopro a chiedermi:

ma cos’è che ci fa poi così tanta paura del dentista?

Uno dei motivi più spesso citati, sia da medici che pazienti, è la paura del dolore. Un timore che accomuna però anche altre pratiche chirurgiche, e che non trova più giustificazione alla luce delle nuove tecniche a disposizione dei professionisti, che consentono ormai di operare in modo quasi indolore.

A rimandare, invece, talvolta anche per anni la visita, sono – più spesso di quanto si immagini – preoccupazioni strettamente economiche. Le cure odontoiatriche sono in grado di sconvolgere bilanci familiari magari già instabili, accentuando odiose differenze di classe: cosicché chi può permettersi un buon dentista ci andrà con maggiore frequenza, prevenendo danni più gravi e costosi, mentre chi è costretto a rimandare per problemi di budget si trova a dover poi fronteggiare conseguenze più onerose.
Ma nessun prezzo può spiegare il carattere irrazionale e violento di questa fobia, che affonda le radici nel nostro tessuto psichico inconscio. Non serve un trauma infantile legato alla prima visita per suscitare questa paura, perché a essere investiti sono simboli antichi celati nel nostro corpo, che l’incontro con il dentista può risvegliare in modo brutale. La bocca rappresenta, infatti, sin dalla nostra prima infanzia un fondamentale strumento di gratificazione, che nel corso della vita non smette mai di costituire una potente fonte di soddisfazione sessuale. È zona erogena e primo confine di ogni relazione intima, che si concede a pochi di varcare.

L’idea che una persona quasi sconosciuta, che spesso non abbiamo scelto, si avvicini con mani e attrezzi acuminati a una parte così contemporaneamente esposta e privata, costringendoci a giacere con il suo corpo che incombe sul nostro, senza poter parlare, innesca un ineffabile terrore connesso al timore di subire un’aggressione. Muti, vulnerabili, distesi accanto a strumenti minacciosi alla mercé di qualcuno: difficile non avere paura. Una paura innominabile per il paziente, di cui il medico deve però essere consapevole se desidera costruire una buona relazione terapeutica fondata sul contatto empatico e rassicurante.

È il mio ultimo appuntamento, e mentre il dottor C mi saluta con un buffetto, mi è chiaro ormai come questo gruppo di medici non solo abbia ben compreso questa lezione, ma come un terzetto di Re Mida, abbia scoperto anche il favoloso segreto per trasformare l’aggressione in seduzione e far svanire così ogni paura in una carezza.

Psicologa. Lavora con le storie: lette, ascoltate, raccontate, vere o sognate non importa, ma sempre comunque terapeutiche.

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