Un simpatico amico mi racconta un curioso fatto che desidera comprendere: la vacanza dei suoi figli con i loro amici. Vacanza a cui ha dovuto in parte presenziare, per motivi di età dei pargoli.
In luglio, arriva con loro a Forte dei Marmi, località super cool a lui totalmente sconosciuta, che però subito lo colpisce e lo intriga. Decide di familiarizzare col luogo, capire che vacanza sarà la sua, a seguito dei ragazzi. Si rende subito conto che lì, a differenza della grande città da cui proviene, ai suoi occhi le persone appaiono tutte molto simili: sono tutte ben vestite e curate, si assomigliano incredibilmente, anche tra maschi e femmine. Tra la spiaggia e la pineta girano tutti in bicicletta con fiori nei cestini, tutti portano espadrillas di corda e friulane di velluto, tutti indossano bermuda della lunghezza giusta, camicia di lino, tracolla di pelle o zainetto di tessuto. Le signore scelgono il caftano, anche stampato. Un esercito attento, preciso ed elegante. Perfino il povero che chiede l’elemosina veste in maniera impeccabile.
Il mio amico mi racconta di un certo senso di straniamento: gli pare quasi di essere in una magnifica messa in scena. Ma chi è il pubblico?
Prosegue nella sua passeggiata, arriva al mare. C’è il bagno storico, il migliore, tranquillamente chiuso dietro cancelli di protezione (da cosa?) e con pochi lettini selezionati. Le cabine sono in legno, i tetti di cotto, i “pattini” in legno: un ottimo servizio di sorveglianza. Qui entri e ti senti trattato come in “famiglia”. Una famiglia a cui, viceversa, devi appartenere in qualche modo, per entrare. Poi, c’è il bagno più lussuoso, talmente esclusivo da essere ambito da pochi. Poi c’è quello dove si va per essere visti, quello più di moda: inutilmente mondano e arrogante accoglie fanciulle di ogni età dal viso ben rifatto e signori con il polso ben guarnito. Incerto sulla direzione da prendere, il nostro amico, nella sua passeggiata, si accorge quasi per caso di una parte di spiaggia libera. Potrebbe essere quella giusta per i suoi ragazzi, pensa.
Nel suo racconto non c’è ombra di critica o giudizio, ma solo un’attenta osservazione di ciò che lo circonda, caratteristica che gli è propria. Forse la consapevolezza che Forte dei Marmi, in questo caso, sia un emblema di altri luoghi che, in sé, raccolgono i simili. Quelli che, somigliandosi, si sentono famiglia. O meglio: che pensano che per essere famiglia si debba essere simili. Magari votare per lo stesso partito.
Ma le famiglie, si sa, son fatte di opposti e di diversi. E un luogo tutto fatto di uguali, che pare disegnato a tavolino, dopo un po’ provoca un desiderio di fuga da una realtà che diventa finzione. Parliamo di un’accogliente cittadina toscana, sulla carta, che però vive in una sorta di gigantesco palcoscenico, che pare controllato da un enigmatico produttore/regista/creatore.
A vacanza terminata, però, il mio amico dichiara di essere felicemente sfuggito al finto regista, come Truman nello Show (nonostante indossi una candida camicia di lino, mentre mi parla), e che i suoi ragazzi non sono attori. Fortunatamente, mi dice, nelle spiagge e nei Bagni di Forte i suoi ragazzi non hanno mai messo piede né di giorno né di notte.
Per caso prossimamente il mondo del Metaverso li salverà? Oppure li sta già salvando?
Nota Bene: sull’effetto del luogo, degli spazi e del contesto su chi li abita si consiglia l’illuminante lettura di Carlo Sini “Pensare il progetto”