“Tu chiamale se vuoi Emozioni…”. Le riconosco, nella testa, nel cuore, e da Battisti ne vorrei ancora e sempre. Mi dicono che devo scrivere di me e di quello che ho scritto per loro. Bello confessare il bene ricevuto da questo mucchio di emozioni, e magnifico scrivere di questi “forsematti.” Si tratta di “persone”, non di matti. Non perderne l’essenza: ad ognuno aggiungi un’immagine che lo racconta, una musica, una frase geniale che spiega. Come quella di Salvador Dalì: “L’unique difference entre un fou et moi, c’est que moi je ne suis pas fou”. Un percorso intenso, con facce e avventure che al tempo del Lockdown hanno riempito di gioia e fatica me e Veronica, la mia stimata assistente.
Alla ricerca di quell’attimo, il salto verso la follia.
Scelgo fra circa 50 storie assegnateci.
Il primo personaggio è un Lawrence d’Arabia ripetibile soltanto da un Peter O’Toole: stessi occhi celesti, stesso turbante, stessa vita fascinosa, stesso spirito esuberante, le avventure e la fuga. Riguardi il film realizzato 30 anni dopo la morte di Lawrence da David Lean e ritrovi anima, pensiero e totale somiglianza. Sarebbe magnifico poter chiedere loro cosa pensano dell’attuale scenario mediorientale.
Medesima magia e stessa geniale sovrapposizione tra Judy Garland, nata per cantare, e Renée Zellweger, nata per recitare: la sua appassionata interpretazione nel film “Judy” (2020) le procura quell’Oscar che era stato negato nel 1954 alla vera Judy, mancata nel giugno 1969. Valgono i piccoli gesti delle mani, il modo di camminare, di stringere il microfono fino alla disperazione del suo canto, mai doppiato in tutto il film. Due straordinarie ragazze e parecchie storie d’amore disastrose in comune: Judy cambia in totale cinque mariti, Renée per ora ne ha sposato uno, peraltro durato solo sei mesi. Pur accumulando una lunga serie di fidanzati – tra cui Bradley Cooper – dai quali si allontana, quest’altalena emotiva non ha le stesse ricadute sulla vita che invece portarono Judy Garland alla morte.
Due signore speciali: stesso nome di battesimo e destino simile nella sofferenza, diversissime in bellezza e in eleganza, ugualmente tenaci nell’affrontare la faticosa vita “da ricca”. Diana Vreeland, che appartiene all’alta società angloamericana, ha lo stile nel sangue. Sposata con un banchiere che ama per tutta la vita, ha un carattere forte e duro; giornalista sui generis, è capace di incassare licenziamenti di peso (prima da editorialista di Harper’s Bazaar, successivamente da direttore di Vogue) per trasformarsi sul finire degli anni ‘60 nella più straordinaria Icona della moda internazionale. Per converso, Diana Spencer da giovanissima è timida e impacciata: sposandosi diventa Principessa, ma sbaglia perfino l’abito da sposa. Il suo matrimonio (che lei stessa definisce “affollato”) termina negli anni ‘90, ma è proprio dopo questo suo “licenziamento” che conquista un proprio stile, reale e inconfondibile. Liberata dal rischio della corona ottiene in cambio rispetto e amore dal pubblico di tutto il mondo. E si presenta con il suo elegantissimo Revenge Dress.
Uomini di corte, storie di violenza. Gilles de Rais, 1400. Un nome che ricordo e che pronuncio perfettamente dal tempo della scuola. È lui il barone che uccide donne e bambini per il puro gusto del sangue e che viene coscientemente punito, consapevole di meritare la morte diecimila volte. Forse è ancora lui che diventa il Barbablu di Charles Perrault. È di 200 anni dopo il racconto di François Vatel, nobile cuoco di grande classe al tempo di Luigi XIV, rieditato da un Gerard Depardieu innamorato e generoso. Vatel impazzisce non perché i suoi fantastici pesci ghiacciati arrivano troppo tardi sulla tavola del Re Sole, ma perché rinuncia al suo vero amore di una sola notte per la bellissima donna che il Re non può concedergli. Disperato, libera i due canarini il cui cuore strappato doveva curare la gotta del Re . Poi si uccide.