Da un anno parliamo di Covid, tamponi, pandemia. Ma quali sono gli effetti (o i benefici) secondari che il coronavirus ha portato nelle nostre vite? Ecco cosa dicono alcuni degli autori di FuoriTestata.
CI SONO STATI ANCHE VANTAGGI
Come padre privo di autorevolezza di due adolescenti, ho accolto con una certa soddisfazione le restrizioni imposte dal Covid, che mi autorizzano finalmente di esercitare la mia autorità genitoriale proibendo loro di uscire e permettendomi di controllarli meglio. La mia ansia ringrazia.
Un amico cinquantenne, avvocato di successo, mi ha confessato che il Covid gli serve per evitare prestazioni sessuali indesiderate.
Ha validamente sostituito le tradizionali emicranie.
Giampietro Savuto
QUANTI PROGETTI RIMASTI TALI !
All’inizio, ormai lontano, della pandemia che ci affligge, quando ancora si pensava ingenuamente che un breve periodo di sacrifici ci avrebbe ridato la vita di prima, le chiusure sono state accettate di buon grado, da alcuni anche con una certa baldanza.
Molti hanno sinceramente pensato che finalmente, isolati, senza più distrazioni dispersive, avrebbero potuto concentrarsi su alcune cose importanti a lungo rimandate: leggere tanti libri che attendevano di essere letti, riordinare armadi e librerie che attendevano di essere riordinati, dedicare più tempo a figli che attendevano di essere ascoltati…….scrivere il libro che attendeva di essere scritto.
Poi il tempo è passato e pile di libri si sono accumulate sul comodino, armadi e scaffali sono rimasti nel caos abituale, i figli si sono trincerati nelle loro stanze, attaccati a computer e cellulari , il romanzo è ancora in pectore.
Si è invece prodotta l’assuefazione a un’inerzia progressiva: amici, più o meno della mia età, esprimono apertamente la paura di non essere più in grado di riprendersi la propria vita.
Di colpo si sono visti vecchi. Il Covid ha loro rivelato ciò che non volevano ammettere.
Capiterà anche a me?
Raffaella Crosta
PER LA PRIMA VOLTA HO AVUTO PAURA
Nella mia lunga vita ho affrontato e superato malanni potenzialmente mortali, ma ripensandoci non ricordo di avere mai avuto paura. Con il Covid, che per ora non mi ha fortunatamente toccato, ho avuto e ho per la prima volta paura. Credo di aver capito perché: è che l’infarto , il cancro e tante altre disgrazie simili ti capitano tra capo e collo e tu sei convinto di non poterci fare niente, o quasi. E questo, alla fine, ti obbliga ad un consolatorio fatalismo. Come quando vai in auto, e non hai paura che l’auto che arriva sull’altra corsia ti venga addosso. Con il Covid invece, hai la convinzione, ma sarebbe meglio dire l’illusione, di poterlo evitare: distanziamento doppio, doppia mascherina, ossessivo lavaggio di mani, vestiti, oggetti , e adesso, ma adesso quando? il vaccino: Il mostro invisibile è dappertutto e può contagiarmi in ogni momento , è difficilissimo difendersi e io ho paura di non riuscirci . Tutto mi fa paura. Tutti mi fanno paura. E quel che è peggio, temo (o spero?) che dovrò conviverci a lungo.
Paolo Occhipinti
RIVOGLIO L’ECCEZIONE DELLA NOIA
A me le domeniche in pigiama, quelle che proprio non metti il naso fuori casa, sono sempre piaciute un sacco. Se poi piovose sono il top. Con mio figlio abbiamo istituito anche il pigiama day, che a casa nostra è tipo una festa… Per questo il primo lockdown, quello di primavera, oltre alla drammaticità del momento ha avuto anche un certo fascino, per me, nel tenermi in casa. Fascino durato qualche mese, così come l’emergenza. Ma il protrarsi della pandemia e delle misure restrittive ha trasformato quel fascino in qualcos’altro. Il fascino del ritiro ha senso quando il mondo esterno irrompe talmente tanto, con veemenza e forza nel quotidiano, che non permette tregua, non lascia momenti di vuoto rigenerante, non permette di tornare dentro di sé. E allora la domenica in pigiama, senza vedere nessuno e senza dover fare niente, restituisce spazio e respiro. Ma se il mondo è tagliato fuori, le relazioni vanno evitate a causa delle restrizioni e del Covid, se la quotidianità si svolge nelle quattro mura, il pigiama day rischia di passare da festa a tristezza malinconica, da momento di rigenerazione a momento di “crogiolamento depressivo”. Che ogni tanto ci può anche stare, ma ogni tanto. Anche perché ormai, pure se in pigiama, ti raggiungono ovunque gli impegni: da Zoom alle chat, dalle call al lavoro che di smart non ha un bel niente. Neanche il pigiama mi salva più. Rivoglio il fascino, ridatemi il pigiama day, che il mondo lo chiudo volentieri fuori, ma solo ogni tanto.
Chiara Di Cristofaro
MI HA AIUTATO A SCONTRARMI CON ME STESSA
Il primo lockdown ha oliato le mie corde più flessibili. Come tanti, anch’io mi sono scoperta capace di rallentare e aperta a smuovere certe resistenze, prima fra tutte la barriera del digitale. Insomma, per un po’ il mio sottosuolo narcisistico è stato quasi soddisfatto e io ho creduto di manegggiare la parola “resilienza” con qualche cognizione di causa. Stavo a casa senza mordere troppo il freno, accoglievo on line le persone che prima ricevevo in presenza, innaffiavo il germoglio della calma rinunciando alla vita accelerata che mi è sempre piaciuta moltissimo. Con il passare dei mesi, però, ha prevalso la stanchezza. E il mio côté agile nell’accettare le torsioni imposte dal virus ha preso in antipatia il suo doppio solo apparentemente estraneo: il lato che si accomodava.
Io, in mezzo, arbitravo il secondo tempo della partita contro il covid e osservavo che le risposte creative diventavano reazioni fiacche, che l’ethos adrenalinico si aquietava in habitus: diventava abitudine. In altri termini, mi stavo adeguando, anche a schivare il rischio. Brutta faccenda. Per fortuna, ai supplementari mi ha soccorso un’altra parte di me: l’insofferenza. Quel venticello ribelle che rianima l’interesse quando il fuoco sta per spegnersi. Finchè ci si scontra, anche da separati in casa, ci si incontra.
Simbolicamente il covid mi ha davvero obbligato a scavare cunicoli comunicanti tra i vani della mia casa interiore e a tener presente che in questa casa si può stare davvero scomodi. Credo avessi bisogno di ricordarlo, perché il vissuto di chi chiede aiuto è proprio questo. Oggi ho rinunciato a far pace tra le mie parti. Lascio che ci sia la “lotta amorosa” di cui parla Jaspers: un dialogare vivace perché le istanze di tutti e di ognuno trovino la loro stanza. O anche solo un punto in comune nello spazio. Lo troveremo per ricominciare.
Sara Schirripa