“C’è un tempo per seminare e uno per mietere, c’è un tempo per nascere e un tempo per morire”. Cosi Qoelet, l’Ecclesiaste, ci dà le coordinate per l’esistenza. Tutto in qualche modo ordinato, stabilito, almeno nelle regole di fondo. Si parte da qui per andare avanti: comportarsi rettamente, onorare, non desiderare, non uccidere. La morale cristiana, che siamo cristiani o no, ci ha insegnato che per ogni situazione ci può essere un riparo, un decalogo che ci garantisce l’uscita dal tunnel e, nel caso non si possa uscire, basta trovare il punto in cui non abbiamo fatto ciò che si doveva e lì fermarci, fare ammenda e ripartire meglio di prima. Abbiamo dunque vissuto fino a poco tempo fa sotto questa tenda protettiva, figli di una promessa che confidiamo essere viva e vera. Se mi comporto bene, se rispetto le indicazioni, se sarò corretto…
Poi arriva lui, animale primitivo dal nome che sa di fantascienza: Covid-19. A pensarci bene non è neanche un animale, neanche una cellula, solo un frammento, diabolico e operoso, solo una piccola macchina ottusa che pensa solo a replicarsi. La prima ondata è stata terribile, l’animale che toglie il fiato ha colpito duro, prima lo abbiamo un po’ sottovalutato, abbiamo in fondo pensato che non ce l’avrebbe fatta a fermarci. Invece no, ci ha costretti nella tana e a volte è venuto a prenderci anche lì, ci ha portato via, senza un saluto, una carezza, un ultimo bacio… via che bisogna andare. La nostra reazione è stata decisa: ricerca, indicazioni, prescrizioni, regole, nuovi decaloghi che i nostri nuovi sacerdoti col camice, di settimana in settimana, aggiornavano. Regole non scritte sulla pietra ma che di volta in volta venivano riviste fino a vederci veramente più chiaro.
Allora di nuovo piano piano fuori della tana a tornare a vivere, addirittura a mettere in discussione la reale portata della bestia, la sua implacabilità.
Abbiamo capito come fare: distanze, mascherina, e fiumi di gel, la versione postmoderna degli oli essenziali, del carisma dell’unzione. C’era qualcuno di noi che strepitava con quella hybris che solo il “milanese imbruttito” sa avere e lo dichiarava clinicamente scomparso, una specie di ombra del passato come le auto d’epoca o la brillantina Linetti.
Ora però? Il ritorno della bestia scombina tutto un’altra volta. Ma no, la colpa è della movida, di quelli che non portano le mascherine, dei no vax, dei no mask, dei no tav.
A mio modo di vedere, la seconda ondata ci dice che, per certe cose, non c’è il decalogo.
Bei tempi quelli in cui c’era l’inferno e il paradiso e chi non si comportava bene…
Facciamo fatica ad ammetterlo, ma qui siamo davanti a una roulette che gira in cui hanno rubato la pallina e, allora, ridettare tutte le regole non basta. Forse non è mai bastato, forse la vita è un grande bluff in cui ci si diverte un sacco fino a quando non si ha la pretesa di voler sapere dove si sta andando.
Tutto sommato ha ragione Josè Saramago quando ci dice: “Il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole”.
E ne avremo bisogno di briscole, ma proprio qui sta la possibilità di rivedere la luce, nell’implacabile e ostinata ricerca quotidiana della via di uscita, provvisoria e non definitiva ma allo stesso tempo utile.
Se sapremo passare dalla ricerca della soluzione al governo delle incertezze allora ce la faremo, come a dire non è andato tutto bene ma ce la faremo, arriveremo dall’altra parte del fiume.