Una forte motivazione per sperare. È stato questo il regalo dell’ultimo film di Nanni Moretti, eterno nostalgico ma con cognizione di causa. Il film rappresenta un’autentica evoluzione rispetto al sé che Moretti trasponeva nei suoi lavori passati: un sé che era statico e immobile, immutabile e granitico, in qualche modo vittima della propria paura “presuntuosa”.
Penso per esempio ai protagonisti di Ecce Bombo, tra gli altri, costretti a rimanere immobili all’interno delle proprie vite infelici nonostante le possibilità di cambiamento che si prospettavano dinanzi a loro ma che non erano in grado di vedere. Una visione lucida, attenta e mai priva di ironia, la sua, ma anche profondamente rassegnata, che mi ha sempre lasciato quel senso di amaro di chi le cose le ha capite, profondamente, ma non riesce a cambiarle.
Al contrario dell’energia stagnante del “Giro… vedo gente… mi muovo… conosco… faccio cose…” di Ecce Bombo, che esasperava nel suo essere totalmente svincolata dal quotidiano e dalle sue fatiche, totalmente ferma e impermeabile, nel nuovo film Il sol dell’avvenire questo nuovo sé diviene consapevole dei propri limiti, consapevole del fatto che in fondo tutte le storie sono storie d’amore, consapevole dell’importanza della resa e dell’accettazione. La politica, stavolta, è pretesto per parlare di altro: la storia è quella di un regista che dirige un film ambientato negli anni in cui l’Unione Sovietica ha invaso l’Ungheria, condannando il Partito Comunista a una dolorosa crisi di valori.
Con estrema delicatezza il regista scava nella debolezza, nell’imperfezione nel suo senso più assoluto, e forse proprio questa delicatezza rischia di renderlo un film per pochi, per quella minoranza che non si è ancora arresa a una visione del mondo disincantata e indifferente.
Ma è anche un film che comunica gratitudine e la rende contagiosa. È un’opera intensa, che coinvolge fin dal primo minuto, che insegna a cantare e ballare sotto la pioggia, anche quando tutto sembra andare male. È un film che restituisce all’arte quello che dovrebbe essere il suo vero obiettivo: cercare di generare una catarsi nello spettatore, e Moretti c’è riuscito pienamente. Trasmette una grande tristezza e, insieme, una profonda gioia. Il Partito Comunista è costretto a staccarsi da una narrazione passata che non lo rispecchia più e, come noi, fa fatica, ma alla fine trionfa ed è pronto, insieme a quelli che hanno fatto lo stesso percorso, per il Sol dell’avvenire.