Un'illustrazione che ritrae una casetta che, sul lato destro, si sta dissolvendo in tanti puntini,
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Cosa significa tornare a casa?

Allontanarsi dalla famiglia d’origine per studiare all’università o per il primo lavoro significa acquisire un nuovo sguardo su se stessi, scoprire nuove parti di sé. E poter guardare da lontano, a volte, è l’unico modo per vedere meglio.

Ho ventidue anni e vivo fuori da quando ne avevo diciotto. All’inizio a casa non tornavo quasi mai. Avevo bisogno di accumulare una certa distanza, avevo bisogno di dimenticare. Di legarmi a tutti i costi alla nuova città e lasciare andare i motivi della mia fuga. Non funziona così, ora lo so. Le ragioni della partenza divengono sempre più grandi e sempre di più, una volta che si è andati via. È proprio come quel proverbio che dice che le cose da vicino non si possono vedere bene, ci si confonde, non ci si accorge di fatti lapalissiani. Continuiamo a sorvolare sulle situazioni che ci fanno più male.

Tornare a casa richiede una certa energia. Quando scendo i tre scalini del vagone del treno e penso che ciò che mi separa dalla vita di sempre è mezza banchina di un binario a Roma Termini, mi sento inspiegabilmente sola. È un tragitto fantasma, un pezzo di strada dove non appartengo a nessun luogo e dove, però, sono davvero io.

A volte mi manca casa. Mi manca il sapore che avevano i pomeriggi d’inverno quando entravo nella vasca da bagno dopo aver passato ore in giro a fingere di studiare insieme a qualche amica.

È chiaro che a mancarmi è qualcosa che non esiste più, ma per me casa è rimasta immobile e io, invece, mi sono mossa.

Sono andata via appena ho potuto perché qualcosa dentro di me ha optato per questa decisione (forse non volevo più sorvolare) e ho cercato di mantenere viva l’illusione di un luogo sempre uguale in cui poter tornare.

La verità, però, è che avrei dovuto mettere in conto che dal primo secondo passato fuori da Roma, lontana da casa, le cose non sarebbero mai rimaste ferme e tutto avrebbe acquistato un altro valore. Io sono diventata diversa. E non in senso retorico, non perché “crescendo si cambia”, lo sono perché oggi esiste una parte di me che non posso più condividere con chi è “casa”, la parte che appena arriva in stazione ripercorre inconsapevolmente tutto ciò che è stata in questi anni, perché a casa l’altra vita diventa invisibile ed è meglio tenersela stretta, meglio tenere a mente chi sono oggi, perché a casa confondersi è facilissimo.

Non faccio parte di quella porzione enorme di gente che è scappata dalla famiglia o che ha rincorso una facoltà, un mestiere. Io ho solo corso. Ho inseguito, fuori, l’ignoto che sapevo di avere dentro. Ho scelto il rischio di poter trovare cose molto peggiori di quelle che avevo intorno e di non avere una motivazione abbastanza grande per riuscire a resistergli, perché avevo compreso la necessità di un distacco ma non capivo da cosa fosse scaturita.

Credo di non sapere più cosa significhi tornare a casa. Se casa sono le mura scarabocchiate dalle mie mani di bambina o se invece è solo un concetto. Se casa deve essere per forza il luogo in cui sono nata o se c’è un momento in cui la residenza cambia senza che si debbano firmare documenti. Nessuna definizione sarà mai adeguata perché tornare sarà sempre diverso. Perché più siamo distanti più diventiamo capaci di vedere, di sentire ciò che un tempo era insostenibile, ma ora non più.

"Ventenne, studia filosofia e frequenta un'accademia di scrittura. Vive con tanti, infiniti, immensi libri."

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