Sere fa, sarà stato il primo di novembre, Maurizio Mannoni, conduttore del TG di mezzanotte di Rai 3, ha fuggevolmente accennato a un facile gioco di parole attorno al cognome di Michael Fallon, il ministro della Difesa del Regno Unito, costretto alle dimissioni – ufficialmente – per avere posato, nel 2002, una mano sul ginocchio della giornalista politica Julia Hartley-Brewer. La stessa giornalista ha dichiarato spiritosamente che le sue ginocchia sono rimaste perfettamente integre, ma ciò non è bastato per risparmiare a Fallon un’umiliante e repentina uscita di scena per quello che, secondo l’opinione quasi unanime dei mass media, deve considerarsi uno scandalo sessuale.
Nemmeno è bastato per risparmiare a Mannoni la censura di uno degli ospiti della trasmissione, il giornalista del Corriere della sera Aldo Cazzullo, visibilmente contrariato.
Questo minuscolo episodio si presta a più di una considerazione. Per quanto mi riguarda, è innanzitutto un’ulteriore conferma del fatto che Mannoni è uno dei pochi giornalisti non omologati in circolazione mentre Cazzullo resta, pur in posizione di rilievo, una delle numerose vestali di quel che il romanziere greco Petros Markaris chiama «la cicca americana della political correctness che i centro-europei e gli anglosassoni masticano ininterrottamente da una diecina d’anni».
Si potrebbe anche considerare, tanto per fare un esempio, che dopo quindici anni anche un bancarottiere che ha distrutto migliaia di posti di lavoro e i risparmi di vedove dolenti se la caverebbe con la prescrizione. Per gli scandali sessuali – comunque definiti – il termine di prescrizione invece sembra non maturare mai, e se per caso viene applicato in un’aula giudiziaria (dura lex sed lex…) produce soprattutto l’insistita esibizione, da parte del sistema dei mass media, delle proteste della vittima e/o dei familiari e/o sodali di questa.
Il vero problema, però, è di capire che cosa è cambiato in questi anni e, incidentalmente, come è cambiata la nozione di scandalo sessuale. Tanto tempo fa Renzo Arbore, in una trasmissione televisiva, si era inventato un piccolo quiz: sullo schermo compariva un calciatore con una cerniera lampo su un lato esterno dei calzoncini. Ovviamente la risposta era «Fallo laterale» e sicuramente a nessun Cazzullo dell’epoca sarebbe passato per la testa di eccepire alcunché. Oggi la battuta più che innocente pronunciata a mezza bocca scandalizza l’autorevole e accreditato rappresentante dell’opinione pubblica.
Che cosa è cambiato, come e perché? La risposta spetta agli psicologi aperti al sociale e sicuramente qualcuno l’avrà già data. Come si dice, però, repetita iuvant, e questo è un invito agli amici psicologi a ritornare sull’argomento, che forse non è così anodino come potrebbe sembrare.
In attesa di risposte si può fare qualche considerazione di contorno. La prima è che, a quanto pare,
nessun tipo di umorismo è consentito su argomenti anche vagamente connessi al sesso o al genere
(si pensi alla battuta, plagiata da Berlusconi ma in realtà dovuta a Vittorio Sgarbi, su Rosy Bindi «più bella che intelligente»), laddove ad alcuni politici (ma non a tutti) è consentito, senza violare le norme del politicamente corretto, investire con epiteti irripetibili e con qualsiasi altra manifestazione di totale disprezzo i propri avversari; quindi, non sembrerebbe che sia in gioco un criterio generale di rispetto verso i propri simili. Si potrebbe poi considerare che in materia di “scandali sessuali” non c’è posto per nessun tipo di garantismo, nel senso che l’accusato è colpevole fino a prova del contrario.
Un’ulteriore considerazione ha a che fare con la progressiva estensione del concetto di violenza sessuale (adesso si dice «abuso») a gesti che fino all’altro ieri sarebbero stati considerati innocenti, scherzosi o comunque sia consentiti; consentiti perché era la “vittima” a deciderne il significato e – a seconda dei casi – a scoraggiarli o meno. Ciò che rinvia alla questione del consenso, che vanta una antica tradizione nella storia teologica e giuridica dell’Occidente cristiano. Parlare di “valido” consenso in queste materie significa però estendere ai pochi residui angoli di vita privata la rete del controllo pubblico, perché è evidente che sulla validità del “consenso” può decidere solo un terzo in base a regole che si presumono obiettive.
Una volta, di fronte a simili reazioni della cosiddetta opinione pubblica si sarebbe parlato di sessuofobia, ma oggi il mondo è cambiato e nessun si permette di utilizzare questa parola. Quel che non è cambiato, invece, è uno dei ruoli istituzionali del sistema dei mass media, che è quello di fabbricare mostri, o fenomeni mostruosi (come gli untori dei Promessi Sposi) sia a supporto, sia come conseguenza della produzione ideologica della political correctness. Ruolo importante, che richiede tuttavia un minimo di collaborazione del candidato mostro.
Da qualche anno però i candidati al ruolo anziché vergognarsi, pentirsi, dimettersi, fuggire, suicidarsi, lasciarsi suicidare, si comportano con sorprendente sfrontatezza: dopo il comportamento esemplare di Bill Clinton (per non parlare – pur su fronti ben diversi da quello del sesso – delle buonanime di Michele Sindona e Roberto Calvi) è arrivata la stagione dei Silvio Berlusconi e dei Donald Trump, e a suo modo di Dominique Strauss Kahn, che esibiscono una inspiegabile riluttanza a comportarsi come un buon mostro deve fare, e in ogni caso scarsissima propensione al pentimento. Di questo passo c’è da temere un’epidemia di “mostri svergognati”, ciò che costringe a estendere sempre più le “fattispecie” – come direbbe un avvocato – in modo da fare spazio a nuovi processi di mostrificazione da applicare a soggetti meno intrattabili. Da questo punto di vista bisogna ammettere che quel produttore cinematografico di Hollywood di cui non imparerò mai il nome, e il ministro Michael Fallon (di cui, con buona pace di Aldo Cazzullo, non lo dimenticherò facilmente) si sono comportati molto bene.