Alla settima seduta in cui il paziente parla esclusivamente e ossessivamente di Covid dico basta.
Il Coronavirus non solo si prende i nostri corpi, ma ha occupato le nostre menti, condizionandone il pensiero in modo malsano. Intere ore passate a parlare di virus! Non se ne può più. Io, almeno, non ne posso più.
C’è solo un antidoto – penso tra me – a questa ossessione mortifera, la forza vitale di Eros.
Mentre così rifletto, mi sorprende il ricordo di antiche emozioni. La storia che vado a raccontare è lontana nel tempo, ma ancora viva dentro di me. Non ne ho mai parlato con nessuno, anche se ci ho molto fantasticato. La racconto oggi per la prima volta.
E’ la vigilia di Natale del 1972 e io ho 27 anni.
L’alta velocità è di là da venire e il viaggio da Catania a Milano dura 18 ore (se va bene ): si parte nel tardo pomeriggio per arrivare a destinazione verso le ore 12 del giorno dopo.
Nello scompartimento ci sono, oltre a me, una signora con bambino, un uomo corpulento con grandi baffi, un giovanotto, forse uno studente: non ci sono ancora i cellulari, tutti leggiamo libri o giornali.
Lei sale a Reggio Calabria ed occupa l’unico posto libero, accanto a me: una giovane donna bruna, alta, flessuosa, con un viso intenso e un sorriso luminoso. Non so come, ci troviamo a parlare fitto fitto: mi dice che è di origini calabresi, che i suoi genitori vivono a Reggio, ma che lei si è trasferita al nord, dove fa tirocinio in uno studio legale e si è sposata con un collega. Anch’io le racconto di me. Si crea rapidamente un clima di confidenza e di intimità complice, che innesca un avvicinamento fisico.
Alle 21 vengono montate le cuccette e ci troviamo vicini. Le nostre mani si cercano, ma la presenza degli altri viaggiatori ci costringe a essere cauti e l’ostacolo alimenta il senso di trasgressione e infiamma il desiderio.
Nel cuore della notte usciamo nel corridoio e possiamo finalmente abbracciarci e baciarci, sempre con la paura che qualcuno possa sorprenderci.
Fu una notte insonne e di intenso erotismo, in cui si stabilì tra noi un’intimità profonda, quale raramente ho raggiunto in seguito, come se avessimo vissuto insieme una vita intera. Ci raccontammo di tutto, senza censure o finzioni: aspirazioni, paure, debolezze, ideali, delusioni, segreti, le vicende di famiglia, gli amori passati e recenti…..
Certamente è stata l’eccezionalità dell’incontro, in un altrove senza futuro, fuori dallo spazio e dal tempo della nostra quotidianità, a rendere possibile il completo rivelarsi all’altro in una dimensione di assoluta libertà e di confidente fiducia, come solo nel confessionale o sul lettino del terapeuta.
A Bologna Lei scende, la vedo sparire tra la folla.
Non ci scambiamo indirizzi, né ci diamo appuntamenti per rivederci. Non immaginiamo altri capitoli della nostra storia.
Una grande passione – e quella è stata una grande passione – può essere vissuta anche nello spazio di poche ore, ma lasciare un ricordo che ci accompagna per tutta la vita. Infatti sono qui a parlarne a distanza di tanti anni. Cosa si stabilì allora tra me e la bella sconosciuta, salita per caso in quello scompartimento del treno Catania – Milano? Parlare di relazione sarebbe improprio, i tempi brevi non ne hanno permesso lo sviluppo, eppure nello spazio di una notte si è consumato il rapporto di una vita in tutta la sua intensità.
L’emozione di quell’incontro mi ha accompagnato negli anni e sempre si rinnova quando ne rievoco la lontana avventura, variandone ogni volta i particolari. Quella esperienza mi ha lasciato la convinzione che abbiamo bisogno di amore, di amare e di essere amati, e si è trasformata in una favola che ogni tanto mi racconto. Una favola priva della tradizionale conclusione. E forse è stato meglio così.